Dossier A Foras: “Lo sviluppo si ferma ai cancelli del poligono”

Il poligono militare di Teulada? Frena lo sviluppo del territorio, risultando penalizzante per il settore turistico, oltre che impattante per l’ambiente e la salute dei residenti. Sono queste le conclusioni a cui è approdato lo studio del coordinamento A Foras, da anni impegnato nella lotta contro le basi militari della Sardegna, presentato oggi a Carbonia.

Il turismo che non c’è. Dati Istat e della Regione alla mano, gli attivisti mostrano che nonostante un immenso patrimonio costiero, Teulada presenta gli indicatori peggiori tra i comuni della zona sia in termini di arrivi che di presenze turistiche per abitante. Il confronto con Domus de Maria e Pula è, in effetti, impietoso. E se è vero che queste due località turistiche sono tra le più gettonate dell’Isola, non va meglio il raffronto con Sant’Anna Arresi. Infatti, a fronte di un’estensione costiera circa sette volte inferiore a quella di Teulada (13,5 km contro gli 84 di Teulada, 30 dei quali occupati dal poligono), Sant’Anna Arresi può vantare quasi il doppio delle presenze turistiche per abitante ( 45 contro 27). Insomma, i flussi turistici si bloccano alle porte del poligono.

Settore agricolo, timidi segnali di ripresa. Lo studio evidenzia anche un altro aspetto interessante. L’andamento del settore agricolo mostra che, a differenza di quanto avvenuto negli altri comuni del Sulcis Iglesiente, il territorio teuladino ha visto crescere tra il 2000 e il 2010 il numero delle aziende e della superficie agricola utilizzata. “Tenuto conto di questa vocazione agricola – si domanda A Foras – , le aziende e gli occupati nel settore sarebbero maggiori se il poligono non occupasse il 30% del territorio comunale? Soprattutto le aziende limitrofe alla base – o quelle all’interno dell’area militare – lavorano in sicurezza?”.

L’effetto “ciambella” non esiste a Teulada. La risposta alla domanda più generale (“Il poligono genera occupazione e benessere?”) va forse ricercata in altri due dati forniti sempre dal dossier: il reddito medio pro capite dei teuladini, che è di appena 13.600 euro, e il numero dei residenti, dimezzatosi negli ultimi 65 anni. “Quest’ultimo è un dato in assoluta controtendenza rispetto alla situazione degli altri comuni, che – a livello aggregato – presentano un saldo positivo del 12,3% dal 1951 ad oggi”, argomenta lo studio. È del tutto chiaro, dunque, che Teulada non è soggetta all’“effetto ciambella”, al trend, cioè, che vede le aree costiere più reattive sotto il profilo economico e demografico.

A queste conclusioni era approdata anche la Commissione Difesa della Camera dei Deputati nel 2014, quando era stata pubblicata una relazione che escludeva l’esistenza di ricadute economiche positive legate alla presenza dei poligoni militari in Sardegna.

Alto impatto ambientale. Queste miserie del presente si sommano all’eredità di veleni tramandata nel corso di decenni di bombardamenti. “Per la realizzazione della sola miscela innescante dei missili – ricorda A Foras – vengono impiegati stifnato di piombo (esplosivo tossico), tetracene (proveniente da idrocarburi), piombo, nitrato di bario (tossico se ingerito, no civo se inalato), alluminio, solfuro di antimonio (tossico, l’avvelenamento è simile a quello dell’arsenico)”. Come se non bastasse, a Teulada sono stati impiegati migliaia di missili Milan, armamenti dotati di una lunetta nella parte posteriore che contiene 3 grammi di Torio, che una volta disintegrata produce un isotopo del Radon, gas radioattivo, estremamente pericoloso per la salute. “Queste testate sono state vietate a partire dal 2000 dalle forze armate francesi, mentre in Sardegna si è continuato ad utilizzarle fino al 2004. Inoltre, il dato è ampiamente sottostimato, dal momento che di 2.700 Milan sparati fuori dalla penisola Delta non si ha traccia”, ricorda A Foras.
!Oltre al Torio, ci sarebbe anche il munizionamento al fosforo bianco, come rivelato di recente dall’ex caporalmaggiore Vittorio Lentini alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito”, ricordano gli attivisti.

“Bonificare subito”. Di bonifiche se ne parla, certo, ma le parole sembrano superare i fatti: “I militari dicono ogni anno che il risanamento ambientale sta andando avanti. Ad esempio, nel 2016  hanno affermato di aver promosso interventi di bonifica per 4.000 tonnellate di ferro, anche se il totale, secondo Roberto Capelli, ammonterebbe a 560.000 tonnellate. Garanzie simili arrivarono anche nel 2013 quando alla Procura di Cagliari, che all’epoca indagava per omicidio colposo, venne assicurata la bonifica della Penisola interdetta entro tre anni. Più realisticamente, per quanto riguarda la bonifica dell’intero Poligono, sono necessari non meno di 30 anni, mentre la stima delle risorse necessarie non si discosta da quelle standard dei centri studi delle forze armate degli Stati Uniti. Il poligono caraibico di Vieques (Puertorico), ad esempio, è stato dismesso a maggio 2003 e la bonifica terminerà nel 2022. Il budget standard degli Usa per la bonifica dei siti militari è stato agevolmente sforato, rendendo necessario istituire un super found. Ad oggi, sono stati investiti 486 milioni di dollari”.

Tra gli esempi più eclatanti di mancata bonifica, c’è il caso della famigerata zona Delta, conosciuta anche come la penisola interdetta per via del suo carico di residuati esplosivi (sia a terra che a mare). “Una quantità talmente tanto elevata da renderla non bonificabile a detta dell’Esercito stesso”, ricorda il dossier.

Oltre al danno c’è anche la beffa: “Una modifica della normativa ha, infatti, assimilato le aree militari ai siti di tipo industriale, innalzando le soglie di contaminazione del suolo fino a 100 volte”. E una contraddizione: “Tutte le principali analisi ambientali fin qui portate avanti sono state commissionate dal Ministero della Difesa (o da soggetti ad esso vicini), e solo in parte rese pubbliche (grazie al segreto milita re). Così come per le bonifiche (che i militari dicono ogni anno di portare avanti), anche le analisi degli effetti del poligono sull’ambiente devono essere effettuati da organismi indipendenti, e non su commissione degli stessi ‘controllati’”.

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