Colpo di spugna sui reati ambientali. Ecco i processi a rischio in Sardegna

Un colpo al cerchio, uno alla botte. Così Stefano Deliperi del Gruppo d’intervento giuridico valuta l’azione di governo sui reati contro la pubblica amministrazione, la salute e l’ambiente. Per un provvedimento che inasprisce le norme anti-corruzione varate all’indomani dello scandalo Mafia Capitale ce n’è infatti un altro che“esclude la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori a cinque anni”. “Ne beneficerà chi truffa la pubblica amministrazione, turba gli incanti o utilizza in maniera impropria il denaro pubblico. E, ancora, chi inquina le acque, si rende responsabile di traffico illecito di rifiuti o di altri reati ambientali che non prevedono pene superiori ai cinque anni”, spiega Deliperi. In pratica, un regalo a mafiette, terre di mezzo ed eco-mafie. Naturalmente,: gli effetti del nuovo provvedimento non tarderanno a farsi sentire anche nella Sardegna dei poligoni, dei siti industriali contaminati più grandi d’Italia e delle organizzazioni para-mafiose che turbano gli appalti per un pugno di voti in più alle elezioni.

Una nuova giurisprudenza

Tenuità dell’offesa e non abitualità del comportamento: sono queste le circostanze previste dal novellato articolo 131 del codice penale in base alle quali il giudice delle indagini preliminari valuterà se emettere o meno un’ordinanza di custodia cautelare o archiviare il reato.
Ma “dall’altra parte, quella del crimine – assicura Deliperi – le nuove misure garantiscono ampi margini per farla franca. Ad esempio, basterà cambiare i responsabili gestionali di industrie, imprese di costruzione o qualsiasi altro tipo di società per avere delle persone incensurate cui non può essere addebitata una condotta criminale abituale”. Per fare un riferimento alle cronache più recenti, Gian Battista Zurru, Marco Tuveri e Daniela Tidu, finiti agli arresti, tra le altre accuse, per turbata libertà degli incanti e truffa potrebbero beneficiare delle nuove norme, perché incensurati.
“L’altro rischio – precisa Deliperi – è che i nuovi reati contro l’ambiente e la salute vengano considerati di lieve entità a fronte di una condizione ambientale già critica. E d’altra parte, un’ipotesi del genere è ampiamente suffragata dalla recente legislazione Basti vedere il dl 91 o Competitività, divenuto legge a giugno di quest’anno, che innalza i limiti soglia degli inquinanti emessi da industrie e poligoni”.Il passo verso un severo giudizio è dunque breve. “Si tratta di annullare le conseguenze penali legate a questo tipo di reati. Per legge”, aggiunge il giurista.

Quirra, pecore nere e fanghi rossi: i procedimenti a rischio con le nuove norme

Mai porre limiti alla provvidenza, recita l’adagio. Bisognerà però vedere di quale provvidenza si parla e di chi ne riceverà il soccorso. Di certo c’è che da Portovesme a Quirra, passando per Ottana e Porto Torres sono tanti gli illeciti su cui la magistratura indaga. Soprattutto, con le nuove norme è lecito pensare che tante inchieste e processi finiscano per essere risucchiati nelle sabbie mobili del nulla di fatto. Ecco una veloce panoramica.

OTTANA. “Potrebbe passarla liscia Paolo Clivati, patron di Ottana Energia, Ottana Polimeri e Biopower Sardegna, da cui l’estate scorsa è fuoriuscito un ingente quantitativo di urea che ha causato una diffusa moria di pesci nel fiume Tirso”, spiega Deliperi. Dalle ciminiere della centrale di Ottana Energia, è invece fuoriuscito ad aprile dello scorso anno il carbone liquido che tra Noragugume e Ottana ha annerito centinaia di pecore. In entrambi i casi sono stati notificati gli avvisi di chiusura delle indagini, si è dunque in attesa della pronuncia del gip.

PORTOVESME. “Incerto anche l’esito delle indagini che sono valse a Vincenzo Rosino, amministratore delegato dell‘Eurallumina, e Nicola Candeloro, direttore dello stabilimento, l’accusa di crollo di costruzioni o altri disastri dolosi”, continua il giurista. L’inchiesta della procura cagliaritana prende le mosse nel marzo del 2009, in seguito alla rottura di una condotta che trasporta l’acqua di falda proveniente dalla Sala Pompe della vicina centrale Enel e da altri punti dell’agglomerato industriale fino allo stabilimento dell’Eurallumina. E da qui al bacino dei fanghi rossi, dopo essere stata impiegata nel ciclo di lavorazione dell’alluminio. Nell’acqua riversatasi sulla strada che attraversa il polo industriale di Portovesme, i carabinieri del Nucleo operativo ecologico avevano rilevato la presenza di metalli pesanti non riconducibili esclusivamente ai fanghi rossi.
Sembra poi che il nuovo decreto del governo possa interferire anche con il secondo troncone del processo sui rifiuti industriali provenienti dallo stabilimento della Portovesme s.r.l. In questo caso, per il pm Daniele Caria sono otto i responsabili dello smaltimento illegale di 15mila tonnellate di rifiuti con alte concentrazioni di arsenico, piombo, zinco, cadmio, rame, nichel, solfati e floruri. A gennaio si aprirà poi il dibattimento che vede accusati del reato di omessa bonifica Carlo Lolliri, amministratore delegato della società che ottiene piombo e zinco dai fumi d’acciaieria, e Aldo Zucca, direttore dello stabilimento.

QUIRRA. Chissà come andrà a finire a Lanusei, dove è alle battute iniziali il processo sui veleni del poligono di Quirra, sospeso di recente in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sull’ammissione della Regione Sardegna come parte civile avente diritto di risarcimento per danno ambientale. In ogni caso, dalle iniziali ipotesi di reato di omicidio colposo plurimo prima e di disastro ambientale poi avanzate dal pm Domenico Fiordalisi si è infine arrivati a celebrare il processo che oggi vede otto ex comandanti della base accusati di omissione aggravata di cautele contro infortuni e disastri agli otto comandanti della base. “A queste condizioni – spiega Deliperi – anche questo processo potrebbe risolversi in un nulla di fatto”.

PORTO TORRES. Bisognerà invece aspettare le decisioni del gip sulla richiesta di rinvio a giudizio per disastro ambientale e deturpamento di bellezze naturali a carico degli otto dirigenti Eni presentata dal pm Paolo Piras nell’ambito dell’inchiesta sulla darsena dei veleni di Porto Torres. “Se, infatti, si andrà a dibattimento con l’ipotesi di reato di disastro ambientale, il procedimento potrebbe non risentire delle nuove norme”, spiega Deliperi. Secondo l’accusa, gli interventi di risanamento ambientale messi in atto dalla Syndial non avrebbero funzionato. Poiché, dunque, dalla barriera idraulica costituita da pozzi di emungimento collegati a sistemi di trattamento delle acque e dispositivi per misurare il gradiente di diffusione dell’inquinamento, continuano a fuoriuscire inquinanti, il pm chiede che si vada a processo per disastro ambientale. Per avere un’idea dei livelli d’inquinamento della falda, basta riportare i dati notificati dalla stessa Syndial: “Arsenico 50 volte il limite, mercurio 10 volte il limite, benzene 139.000 volte il limite, etilbenzene 100 volte il limite, toluene 4.900 volte il limite, cloruro di vinile monomero 542.000 volte il limite, dicloroetano 28.000.000 di volte il limite”. La decisione del gip è attesa per il prossimo venti gennaio.

È dell’otto novembre scorso la notizia degli avvisi di garanzia che hanno colpito Salvatore Signoriello, direttore di E.On Italia; Marco Bertolino, direttore della centrale di Fiume Santo e Livio Russo, vice capo centrale. A quanto pare, i dati relativi all’inquinamento nelle aree 1 e 2 forniti da E.on sono apparsi esageratamente tranquillizzanti. In sostanza, il reale grado di inquinamento sarebbe stato sottostimato, ma l’inchiesta della procura sassarese è top-secret: non si sa ancora quali siano i reati contestati ai dirigenti della multinazionale tedesca.

Va invece avanti il processo penale sulla marea nera che nel 2011 inquinò il golfo dell’Asinara. I reati contestati ai dirigenti della centrale di Fiumesanto (si tratta sempre di Luca Signoriello, Marco Bertolino, cui in questo caso si aggiunge Francesco Capriotti, manager di Enelpower dal 2002 fino al settembre 2004) sono quelli inerenti al crollo colposo aggravato dalla previsione dell’evento (riguardante la rottura dell’oleodotto, da cui derivò lo sversamento in mare) e deturpamento delle bellezze naturali. Pare però difficile che in questo caso il danno arrecato all’ecosistema possa essere considerato di lieve entità, “visto che le spese effettuate per la bonifica dell’area contaminata dall’olio combustibile fuoriuscito durante le operazioni di approvvigionamento della centrale sono ampiamente documentate”, conclude Deliperi.

Piero Loi

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