Ecco le tracce seguite da Fiordalisi nell’inchiesta sull’alluvione

Catena di comando. Strumenti di allerta. Efficacia della prevenzione. Se tutto l’apparato di Protezione civile è sul banco degli imputati (per ora solo metaforicamente), si decide intorno a questi elementi essenziali l’inchiesta della Procura della Repubblica di Tempio che ha portato agli avvisi di conclusione indagine e ha fatto emergere il ruolo di indagati per 13 persone a vario titolo coinvolte nell’alluvione che quel tragico 18 novembre 2013 ha sconvolto Olbia e la Gallura provocando 13 morti. L’ex governatore della Sardegna Ugo Cappellacci; i sindaci di Olbia e Arzachena, Gianni Giovannelli e Alberto Ragnedda; l’ex assessore regionale all’Ambiente, Andrea Biancareddu. Queste sono le parti politiche indagate per i reati di omicidio colposo e disastro colposo. Insieme a loro ci sono i tecnici, dirigenti della Protezione civile e funzionari comunali che avevano diverse competenze all’epoca dei fatti: Giorgio Cicalò, capo della Protezione civile sarda; Antonello Zanda, dirigente del settore Manutenzioni del Comune di Olbia, ma anche storico dirigente del settore Urbanistica; poi altri tre dirigenti del Comune di Olbia: Gabriella Palermo, responsabile dei Lavori pubblici; Giulia Spano, delegata alla Protezione civile e Giuseppe Budroni, funzionario della Protezione civile. Poi altri funzionari di Arzachena, dove morirono quattro persone affogate in uno scantinato. Zanda e la Palermo, nello specifico, sarebbero accusati della mancata pulizia dei canali.

Le fasi dell’allerta e le modalità di prevenzione

Il pomeriggio del 17 novembre, una domenica nella quale già piove ininterrottamente da quasi 24 ore. Ma la situazione è sotto controllo. E’ una domenica e la data è importante. Uffici chiusi. Si parla di fax arrivati senza nessuno che li potesse segnalare. La Protezione civile nazionale, secondo un sistema collaudato, lancia l’allarme che parla di allerta meteo di criticità elevata. Basta guardare le previsioni meteo su qualsiasi sito on line per capire che le piogge saranno eccezionali. Sui telefonini dei vari responsabili della Protezione civile , a livello regionale, provinciale e comunale, arriva la stessa allerta. Olbia è abituata a finire sott’acqua per un semplice temporale. Ma sono i canali a far paura. Dunque la Protezione civile nazionale, come confermato nelle ore successive al disastro per bocca dello stesso comandante in capo, Franco Gabrielli, ha messo in atto la procedura consueta. Qui, in quello che è successo in quelle 24 ore, quelle che separano l’allerta meteo dalla bomba d’acqua che per due ore, il 18 novembre, ha sconvolto Olbia e la Gallura, si concentrano le indagini della Procura di Tempio e del procuratore capo, Domenico Fiordalisi. La catena di comando regionale e locale dei responsabili di Protezione civile ha eseguito le prescrizioni richieste? Sulla base delle indagini dei carabinieri del Comando provinciale di Sassari, Fiordalisi ha elaborato ipotesi investigative che conducono al fatto secondo il quale in pochi avrebbero percepito il pericolo incombente. In particolare i tre responsabili regionali (l’ex governatore Cappellacci, l’ex assessore Biancareddu e il direttore della Protezione civile Cicalò) non avrebbero messo in atto tutte le precauzioni sul coordinamento delle operazioni di preallarme a livello locale.

La difesa di Giovannelli: “Le nostre forze erano in campo già dal giorno prima”

Il sindaco di Olbia, Gianni Giovannelli, in una intervista televisiva, si è difeso dalle accuse che gli vengono mosse e anzi ha lamentato la necessità di un sistema di allerta più efficiente per la popolazione. “Sono convinto che l’amministrazione comunale, sia per quanto riguarda l’allerta che la gestione della fase di emergenza, abbia fatto un lavoro importante – spiega il sindaco – perché le forze erano in campo già dal giorno prima e d’altro canto poniamo come dato di fatto che la macchina della Protezione civile vada ripensata”. “Se sappiamo che c’è una evoluzione negativa di un determinato evento e si riesce a prevedere la consistenza dell’evento con informazioni adeguate – continua Giovannelli – probabilmente si riuscirebbero a concentrare mezzi e persone che possano essere efficacemente utilizzate per intervenire nei momenti dell’emergenza”. Dunque il significato delle parole del sindaco lascia trapelare quella che sarà la difesa “per tabulas” del primo cittadino e dei dirigenti coinvolti: quella che un semplice messaggio di generica allerta meteo di criticità elevata, come ce ne sono molti analoghi, non abbia potuto rappresentare un sufficiente indizio della catastrofe che nello specifico si sarebbe abbattuta quel 18 novembre sulla città di Olbia. Il Piano comunale di Protezione civile (questa la dicitura esatta) era stato approvato all’unanimità dal Consiglio comunale di Olbia il 4 dicembre del 2012. Vedremo come potrebbe rappresentare un elemento importante dell’inchiesta.

I livelli di allerta per rischio idrogeologico e le fasi dell’emergenza

Partiamo dai livelli di allerta. Il pomeriggio di domenica 17 novembre arriva via fax, ma soprattutto per sms a sindaco e dirigenti del Comune di Olbia, un’allerta meteo con avviso di criticità elevata. Sull’avviso il Piano di Protezione civile prevede uno stato di preallarme, al quale segue l’allarme vero e proprio con l’evento in atto. La procedura è stata seguita? La Procura di Tempio indaga su questo aspetto. Il sindaco ha emesso un’ordinanza intorno a mezzogiorno del 18 novembre, decretando lo stato di calamità naturale. Ma le persone erano al lavoro, i ragazzi a scuola e la pioggia continuava a cadere con portata sempre maggiore.

La procedura operativa

Nel Piano di Protezione civile del Comune di Olbia, in caso di segnalazione di un evento calamitoso, il sindaco, sentito il prefetto, nomina subito il responsabile della funzione tecnica di valutazione e pianificazione. Costui attiva e dispone l’invio di squadre di presidio territoriale per le attività di sopralluogo e monitoraggio dei punti critici. Tutto questo è stato fatto tempestivamente o a cose già compromesse? Ma è sull’evacuazione che si aprono dubbi nell’analisi della procedura seguita. Il responsabile “dell’assistenza alla popolazione” del Comune, preliminarmente nominato dal sindaco, deve provvedere ad attivare immediatamente il sistema di allarme e procedere al coordinamento delle attività di evacuazione della popolazione delle aree a rischio. Qui possiamo esserne certi: l’evacuazione, prevista dal Piano di Protezione civile del comune di Olbia, non è stata attivata. Per quale motivo? Esistono giustificazioni operative a questa carenza? L’evacuazione avrebbe potuto salvare vite umane? Era fattibile da un punto di vista operativo? Dubbi pesanti. Certamente sulla base di un evento in atto con criticità elevata, l’aggravarsi dei punti critici e il superamento delle soglie di allerta locale, si può affermare che, in relazione a questo Piano di emergenza in vigore, la fase di allarme esisteva fin dalla mattina di lunedì 18 novembre. Il giorno della tragedia.

Misure di salvaguardia della popolazione

La relazione tecnica del Piano di Protezione civile del comune di Olbia elenca le misure di salvaguardia della popolazione. Qui entriamo in un altro terreno minato. Il primo punto verte sull’informazione alla popolazione. Il piano di emergenza prevede che venga predisposta una appropriata cartellonistica da ubicare in luoghi strategici, oltre all’individuazione sul sito internet del Comune di Olbia delle disposizione di emergenza. Queste misure di salvaguardia sono state rispettate? Si sarebbero potute approntare dopo l’avviso di allerta con criticità elevata protocollato lunedì mattina? La domanda resta sospesa. Infine l’uso adeguato dei sistemi di avviso di allarme. L’amministrazione ha più volte sostenuto di aver avvisato la popolazione attraverso la televisione, nei telegiornali dell’ora di pranzo. Lo stesso sindaco Giovannelli poco prima delle 17, l’ora in cui si è scatenato l’inferno, rispondeva ai microfoni di Radio Internazionale invitando a non uscire di casa. Troppo tardi?

I sistemi di allarme: dal megafono agli avvisi porta a portarmela

Il Piano di Protezione civile prevede anche che durante un’emergenza la popolazione deve essere mantenuta costantemente informata sull’evento previsto e sulle attività del Coc (Centro operativo comunale) tramite sistemi di allerta acustici e comunicazioni porta a porta. In pratica la procedura di evacuazione deve essere accompagnata, attraverso l’ordine del sindaco, da segnalazioni tramite sirene, altoparlanti montati su autovetture, altri sistemi acustici. Se necessario, soprattutto per le frazioni “fuori porta”, si procede per via telefonica e avvisi porta a porta. Quanto hanno contato le procedure “interne” el Piano di protezione civile comunale e quanto, invece, hanno contato le carenze dell’apparato di Protezione civile regionale? Quanto ha contato la mancata attivazione da parte dei vertici della Protezione civile regionale del CFD (il Centro funzionale decentrato) che lo stesso Gabrielli avrebbe contestato ai vertici regionali nei giorni successivi all’alluvione? Tutte domande alle quali i giudici dovranno dare una risposta.

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