Uomini d’acqua, la ricerca fotografica di Davide Virdis al Ghetto

Quando si indaga il complesso rapporto fra la Sardegna e l’acqua si entra in un campo dove contano gli aspetti geografici, paesaggistici, antropologici ma soprattutto simbolici. L’acqua è una presenza, sempre cercata e inseguita dall’uomo e — anche — un’assenza temuta. L’acqua è luogo fisico reale e vivibile e luogo percepito nell’immaginario, nella memoria, nel nostro sentire singolo e collettivo. Ma il territorio “è simultaneamente principio di senso per coloro che l’abitano e principio di intelligibilità per colui che l’osserva”. Questa citazione dell’antropologo  Marc Augé è il filo conduttore di Uomini d’acqua, un’esplorazione fotografica minuziosa condotta in Sardegna, dall’architetto e fotografo Davide Virdis.

La ricerca fotografica, che nasce da un progetto sviluppato con il contributo dell’antropologo visuale Paolo Chiozzi, è stata realizzata nel 2012 grazie ad un finanziamento dell’ISRE (Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna) e ha prodotto un archivio finale completo composto da 133 immagini, realizzate sia in bianco e nero che a colori. 

La mostra Uomini d’acqua allestita al Ghetto è organizzata dal Comune di Cagliari all’interno delle manifestazioni per Cagliari Paesaggio, raccoglie una corposa selezione delle immagini prodotte nel 2012 e una serie di nuovi scatti che negli anni successivi hanno ampliato il tema iniziale. In essa si propone un percorso che si snoda per tutto il territorio dell’Isola, esplora paesaggi “segnati” dalla presenza dell’uomo e sempre legati ad un vitale rapporto con l’acqua: gli insediamenti costieri, testimoni di antichi rapporti coi popoli venuti dal mare ed oggi porti e città vive e dinamiche; i fari, i pozzi sacri, le dighe, fino ai più recenti scenari legati alla siccità, dove l’acqua è raccontata attraverso la sua assenza, negli invasi le terre riemergono e con esse le tracce di vecchi equilibri, muri a secco, nuraghi.

il racconto è composto da 60 stampe fotografiche di grande formato, montate a vivo su pannelli di alluminio. In questa mostra Davide Virdis sviluppa l’approccio all’esplorazione del territorio seguendo tre differenti declinazioni del rapporto tra acqua, uomo e paesaggio: l’acqua intesa sia come elemento generatore della “condizione di isola” che come risorsa vitale indispensabile per lo sviluppo di una comunità, ma anche acqua come rappresentazione di precisi valori simbolici, legati alla cultura e alla tradizione.

Le coste e l’acqua salata sono una barriera ma, anche, una porta d’accesso, una via di comunicazione e di travaso di beni  materiali e immateriali che chi vive in un’isola ben conosce. L’acqua dolce è generatrice di vita e di prosperità, luogo di trasformazioni profonde legate al suo utilizzo virtuoso o di speculazioni dissennate. Tra questi due estremi il progetto focalizza l’acqua come mediatore culturale primario di ogni civiltà. Elemento portatore di sacralità, di riti di prosperità che hanno segnato il nostro percorso immaginario e religioso e, conseguentemente, hanno disseminato il territorio di simboli e luoghi che raccontano il nostro percorso culturale segnato, come ogni civiltà, da questo elemento liquido auspicato e temuto.

Con “Uomini d’acqua” Davide Virdis pone la fotografia al servizio della ricerca di un architetto attento al paesaggio e alle complesse e profonde interazioni con chi lo abita e lo trasforma. Una fotografia che è solo apparentemente precisa documentazione di luoghi ma, in realtà, pratica attenta ai segni dell’uomo che, sia nella cura che nell’incuria, lascia trasparire come in una filigrana, le stratificazioni del tempo e le trasformazioni legate a vecchi e nuovi bisogni che si innestano, si stratificano si sovrappongono in un paesaggio mai uguale. Con l’acqua a ricordarci che tutto nasce e finisce grazie alla sua presenza o alla sua carenza.

Enrico Pinna

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