Undici notevoli storie di fotografia al Castello di san Michele

In questa temperie buia dove una massa vociante di nuovi vincenti di tutto il mondo alza con tracotanza il vessillo di un esibito “orgoglio dell’ignoranza” è un piacere seguire persone in controtendenza, dei trasgressivi che intraprendono percorsi di conoscenza e di crescita attraverso la fotografia che, declinata secondo la sua grammatica essenziale, si rivela un potente, profondo e riflessivo strumento di racconto.

“Undici notevoli storie” è la collettiva di fine corso della  scuola di Fotografia Fine Art Studio diretta da Michelangelo Sardo, che anche quest’anno è arrivata al traguardo, con undici allievi che propongono i loro progetti che riflettono il personale percorso di crescita e il loro desiderio di raccontare storie con la macchina fotografica. La mostra, inaugurata l’8 giugno nel Centro Comunale Castello di San Michele, resterà aperta sino al 24 giugno.

Undici autori di età e provenienze diverse, undici storie personali che si mettono in gioco, undici progetti realizzati in piena libertà formale e espressiva, indagando ora strade inattese, ora i piani più classici del linguaggio fotografico declinato prevalentemente in bianco e nero che sembra essere, per i più, un percorso di ricerca più intimo e suggestivo.

In rigoroso ordine alfabetico una breve presentazione dei loro lavori.

Laura Atzori cita Calvino per presentare una città dove “la nebbia offusca la vista, il vento freddo schiaffeggia il viso. Perdersi in un quartiere di una città sconosciuta, smarrire la strada, trovarne altre cento”. Un lavoro in bianco e nero metafora di un viaggio  interiore dai tanti percorsi ora nitidi, ora confusi.

Carola Baccialle si lascia trasportare dalla suggestione di piccoli mondi marini, paesaggi minimi dove “le forme, i solchi, le fessure, i colori e il tempo che passa possono rivelare un mondo quasi magico”. Un lavoro a colori dove lo sfocato disegna suggestioni fiabesche.

Vincenzo Cara propone, attraverso la destrutturazione e la trasfigurazione dei corpi una metafora attuale, una “moderna allegoria della Madre Terra ferita, arida, sfuggente”.

Martina Cavalcante scava nei propri affetti ricordando la figura familiare della nonna recentemente scomparsa. Una galleria intima di ritratti e di espressioni che rendono importante il ricordo di una persona indimenticabile.

Federica Gerardi mette in scena “un’Alice accompagnata in un paese non troppo meraviglioso, dalla presenza amica e rassicurante del Bianconiglio. Un riadattamento della fiaba di Carroll in una realtà che si presenta decadente e minacciosa”. Un sogno dove mistero e suggestioni riescono a non spegnere la speranza in una realtà meno cupa.

Rosa Locci cita Picasso: «La vera immagine che abbiamo delle persone è quella che costruiamo nella nostra memoria». Partendo da qui la sua modella assume colori, contorni e connotati diversi “perché — scrive — volevo cogliere tanti attimi per racchiuderli in una sola immagine “Il ricordo”.

Davide Manca, che nella vita vede il mondo dall’alto in quanto si occupa di riprese aeree,

prova a ribaltare il punto d’osservazione presentando le architetture di Barcellona viste da un punto di vista per lui “insolito”: dal basso. Un lavoro in bianco e nero di ricerca di geometrie e di atmosfere.

Pierpaolo Manias indaga “l’armonia della figura umana nella sua essenza più vera ed essenziale”. I suoi nudi femminili in bianco e nero riescono a coniugare una naturale sensualità con uno sguardo discreto senza mai scadere nel cattivo gusto che è la trappola nascosta di questo genere fotografico.

Martina Marongiu usa il linguaggio dell’astrazione per rappresentare gli spazi di un incontro che rimescola sensazioni ed emozioni in movimento. In quella terra di mezzo, di tutti e di nessuno, “nasce l’esigenza dell’Arte. In quello spazio si agita tra tutte – furtiva e potentissima – la Fotografia”.

Davide Podda presenta uno dei pochi lavori a colori molto curato tecnicamente. Cita la doppia morale di Bertrand Russel, quella che che predichiamo, ma non pratichiamo, e un’altra che pratichiamo, ma di rado predichiamo. Il contrasto è giocato sulla simbolica e diversa illuminazione dei due modelli affiancati.

Angela Secchi, una lunga carriera di psicoterapeuta e una fresca passione fotografica iniziata da titubante principiante assoluta, indaga il tema della paternità, che al contrario della maternità, “nell’arte è sempre rimasto un tema soffuso e quasi inespresso”. Il suo racconto delicato, spontaneo e coinvolgente ha la forza espressiva di chi è abituata ad accarezzare le ferite delle anime stropicciate. Un lavoro maturo anche tecnicamente grazie alla scelta compositiva attenta e sintetica, valorizzata dal formato quadrato e da una capacità di sintesi impeccabile.

“Undici notevoli storie” è prima di tutto una storia che si rinnova ogni anno, quella di un incontro fra persone e di persone con la fotografia, mediato da una scuola capace di insegnare efficacemente il linguaggio e la grammatica del racconto visuale. Undici persone che contrappongono all’orgoglio dell’ignoranza la fierezza della conoscenza e della competenza dei percorsi culturali dell’arte e della narrazione; che alla facile semplificazione oppongono la complessità della sintesi che è l’essenza della fotografia e sarebbe, forse, anche un prezioso strumento di comprensione e di ricchezza, nella società dell’intollerante ed intollerabile analfabetismo dei sentimenti che stiamo vivendo.

Enrico Pinna

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