Le storie di ordinaria resistenza di Andrea Polzoni: la mostra a S’Umbra

Riprende, dopo una breve pausa estiva, l’attività dell’Associazione S’Umbra Progetti Fotografici. Riparte, come nella sua vocazione, dal fotogiornalismo sociale, con Andrea Polzoni che espone i suoi fotoreportage nella mostra “In Terra straniera – Storie di dominio e resistenza nell’Italia di oggi”, curata da Emanuela Falqui e visitabile sino al 12 ottobre 2014 a Cagliari nella sede dell’Associazione, in via San Giuseppe 17 .

In Terra straniera è una selezione dei numerosi reportage del fotografo marchigiano, tutti con connotazioni e linguaggi indirizzati verso l’indagine sociale:
Mondominio Hotel House, grattacielo di Porto Recanati popolato da duemila immigrati di 40 nazionalità. False Griffe, venditori abusivi di prodotti griffati a Forte dei Marmi, meta dello shopping d’alta moda. Ri Maflow – La Fabbrica recuperata, fabbrica milanese svenduta dai proprietari e poi occupata da alcuni operai che, in auto-organizzazione, si sono ricreati un lavoro, Passi Corti, centro di accoglienza per minori di Roma. In terra straniera, condizioni di vita di profughi e rifugiati Eritrei a Roma. Abitare la crisi, occupazioni e realtà di emergenza abitativa.
Lo Sguardo e il Destino, lavoro dei braccianti agricoli africani in Calabria.

Il lavoro di Polzoni è, prima di tutto, un atto di ribellione alle regole del reportage che vedono i fotografi sottoposti alle pressanti richieste, da parte delle grandi testate giornalistiche o dei magazine, di avvicinare sempre di più e in maniera ossessiva il soggetto fotografato, con pochissimo tempo a disposizione e con la pretesa di mantenere una certa distanza emotiva e un’oggettività di fondo. Perdendo, nel contempo, qualunque controllo sulla messa in pagina del materiale prodotto.

«Andrea Polzoni — scrive Emanuela Falqui nella prefazione — racconta storie di dominio e resistenza quotidiana nell’Italia di oggi e documenta situazioni difficili di sopravvivenza, quelle ignorate dai media o stravolte dai poteri forti. Il processo usato per costruire un reportage è quello di chi si prende il tempo per conoscere di persona i soggetti ritratti, si documenta e scrive i suoi appunti, condivide il lavoro prima di tutto con le parti interessate, smette di fotografare se è necessario e, quando è possibile, espone le fotografie per la prima volta nei luoghi che lo hanno ospitato, e non importa se le pareti sono di un container, di uno stabile occupato o le baracche dei senza tetto».

«La mia Fotografia — precisa l’autore — è uno strumento di indagine e conoscenza che attinge e si rivolge in primo luogo alle persone con cui mi confronto nelle realtà che decido di documentare. Le fotografie che raccolgo sono anche segni di fiduciosa generosità cui va risposto con un impegno di responsabilità riguardante l’eventuale uso delle fotografie».

«Vivo un epoca — continua — ipersatura di immagini che nutrono una informazione-specchio del dominio, gestita globalmente da poche grandi agenzie e network mass-mediatici. Per intraprendere un percorso di ricerca che voglia essere autentico occorre disertare i meccanismi mercantili che spettacolarizzano la realtà per creare prodotti di massa accattivanti e facilmente consumabili. Le differenze non vanno nascoste. Non si tratta di concedere all’altro un dialogo di comodo ma di aprirsi alla sua diversità mantenendo la mia interpretazione, le mie contraddizioni. Come non posso essere invisibile nella realtà che documento, così devo giocare con la mia presenza sapendo che si tratta di un gioco serio che ri-guarda le vite degli altri».

“Ciò che mostri alla gente è politica” scrisse Wim Wenders, regista, fotografo, e critico d’arte. E Polzoni fa tesoro di queste parole. La sua non è una fotografia neutrale, e nemmeno accondiscendente verso i canoni estetici imperanti nel reportage del dolore. Risolve i suoi racconti visuali con bianco e nero secco ed essenziale, che poco concede alla cura patinata dell’immagine. Perché, sempre citando Wenders, “Il mondo è a colori, ma la realtà è in bianco e nero”.

Il lavoro di Polzoni è un reportage che, percorre — è lui ad affermarlo con convinzione — le strade di quel Neo-Realismo fotografico sempre considerato subalterno al cinema pur avendo espresso grandi interpreti. In questo senso le immagini di Polzoni perdono la collocazione temporale dell’attualità per fluttuare in un tempo dilatato che va dal dopoguerra ai giorni nostri. Ricordandoci che, nonostante lo scorrere del tempo e la diversità degli interpreti, i problemi restano drammaticamente immutati.

Ma è anche una fotografia che non si ammanta di quella ingenua e impossibile oggettività ma, al contrario, rivendica con orgoglio e con forza un punto di vista, l’appartenenza ad una visione politica e sociale ben precisa, una vicinanza con chi lotta, con chi si ribella che diventa, talvolta, adesione militante.

«Fotografando — scrive Polzoni nella sua presentazione — agisco la mia coscienza critica sulla complessità del reale. Si può essere testimoni dicendo chiaro chi è causa di cosa. Si può essere testimoni rilanciando il grido di chi si ribella. Conferendo al soggetto riconoscimento sociale e, interpellandolo, mostrargli che sa cose che io non so. Dirgli che per me è importante ascoltare del suo viaggio che io debbo ancora intraprendere».

Il reportage di Polzoni, declinato con umiltà, rispetto e partecipazione, non mostra luoghi lontani o mete “di moda”. Fedele al classico neorealismo indaga piccole realtà vicine, quasi sotto casa, che potrebbero essere di un tempo e di un luogo qualunque e che sono paradigma e simbolo di questo “Paese straniero”, nel quale per primi stentiamo a riconoscerci, che sta diventando l’Italia.

La mostra sarà arricchita da tre proiezioni ogni venerdì alle ore 19 con la presenza dell’autore:
Impazzire si può: ricerca sull’eredità di Franco Basaglia il 26 settembre
Lavoratori agricoli immigrati in Italia tra neoschiavismo e dignità il 3 ottobre:
Vie di fuga: Profughi di guerra in Italia il 10 ottobre.

Enrico Pinna

 

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