Sguardi incrociati: a Cagliari la Sardegna dei fotografi Magnum e di Fiorenzo Serra

C’è un robusto fil-rouge che lega i documentari di Fiorenzo Serra con i reportage dei fotografi dell’agenzia Magnum realizzati negli stessi anni. Non è solo la coincidenza temporale dei racconti a legarli ma, soprattutto, lo sguardo che cerca nei paesaggi e nelle persone i segni distintivi di un’isola arcaica in cammino verso un’idea di modernità non sempre coerente e rispettosa delle proprie radici. A partire dagli anni ’50 mentre lo sguardo “interno” di Serra indagava l’isola con l’immagine in movimento, gli “sguardi esterni” dei fotografi Magnum provarono a raccontare questa  strana ed affascinante isola ancora fuori dal mondo, come novelli Lawrence senza penna ma con questo nuovo taccuino d’appunti, la fotocamera, con cui scrivere con altrettanta intensità e stupore.

Il primo fu Werner Bischof nel 1950: una ventina di scatti per raccontare una Sardegna che usciva dalla guerra con nuove ferite da aggiungere a quelle secolari. Bishof racconta degli sfollati che abitano le cavità dell’anfiteatro romano, racconta le durissime condizioni di vita del Sulcis, i mercati di Cagliari. In poche immagini c’è una Sardegna ancorata con forza al suo passato.

David Seymour (Chim) venne in Sardegna nel 1954 per raccontare una festa di Sant’Efisio che non era ancora uno spettacolo turistico ma un momento di profonda devozione, colta e ben rappresentata dal fotografo che concentra la sua attenzione più sulla gente che sulle fasi del rito.

Poi Lui, Henry Cartier-Bresson, maestro indiscusso dell’ “image à la sauvette” che venne nel 1962 ospite di Costantino Nivola per raccontare un’isola con i piedi ancora piantati nelle sue radici ma in marcia lenta verso una rinascita, ieri come oggi, ancora incerta.

Due anni dopo Bruno Barbey fotografa ancora la festa di Sant’Efisio cogliendo anche lui i tratti di una festa sentita nel profondo dell’animo dai cagliaritani. Nei suoi diversi ritorni non si nega un viaggio nella Sardegna più arcaica per cogliere con ironia e sapienza i segni di un contraddittorio e incerto viaggio verso la modernità.

Nella Sardegna di Ferdinando Scianna gli uomini sono armati di fucili e di birra Ichnusa che fa da collante ai momenti di ritrovo. Dalle sue immagini appare una civiltà arcaica ed immutabile, ancora vestita di velluto e gambali, dai gesti antichi e quasi solenni. Una società che al fotografo siciliano pare, in quegli anni, cristallizzata nel suo passato.

Poi Leonard Freed che visita la Sardegna nel 1974 incontrando un’isola che si avvia con decisione verso un cambiamento economico e sociale ben evidente nelle poche immagini conosciute di questo viaggio.

Magnum Photos presenta, una rassegna di queste immagini che, dal 21 luglio sino a novembre, saranno al Palazzo di Città con una mostra dal titolo “Paesaggio e identità: storie di luoghi, di donne e di uomini – I grandi reporter della Magnum in Sardegna” La rassegna è curata da Musei Civici di Cagliari e da Antonello Cuccu della Casa editrice Ilisso di Nuoro partner del progetto. L’iniziativa fa parte del programma del primo festival “CagliariPaesaggio”. Sono in tutto settanta scatti che ripercorrono la storia dell’Isola fra il secondo dopoguerra e gli anni settanta.

Fanno da naturale contrappunto alle immagini statiche dei fotografi Magnum quelle in movimento del documentario “Il regno del silenzio” di Fiorenzo Serra che negli stessi anni realizza una serie di straordinari affreschi filmati sulla sua Sardegna. Le immagini statiche tratte dalla pellicola di Serra rivelano una straordinaria concordanza di visione di questo occhio sardo con gli sguardi esterni, ma non estranei, dei fotografi Magnum.

Tante le immagini simbolo: le benzinaie in costume di Barbey, i barracelli armati di Scianna, il lettore sulla panchina del bastione di Cartier-Bresson, le tre donne di Bischof in lento cammino su una strada senza sfondo con i pacchi sulla testa. Metafora di un’isola che si dirige senza fretta e con il peso dei suoi fardelli verso la sua purtroppo effimera “rinascita”. Dovrete andarle a trovare in mostra queste foto  perché la Magnum è piuttosto rigida sulle immagini per la stampa: solo una, quella di apertura, senza alcuna possibilità di scelta.

I fotografi Magnum sono dei maestri indiscussi ma sarebbe sbagliato definire le loro immagini dei monumenti. Sono piuttosto le tessere di un mosaico, un lungo slow-motion di sguardi che è racconto e testimonianza storica magistrale. I fotografi della Magnum ricordano, a chi lo avesse dimenticato, il ruolo e la funzione delle fotografie di reportage, che a distanza di anni hanno conservato la nostra memoria e ci raccontano ancora di come eravamo. Quelli di noi che allora c’erano non faranno fatica a ricordare, chi è venuto dopo saprà da dove è partito il nostro viaggio collettivo. In questi tempi confusi la fotografia ci ricorda ancora quanto sia importante conoscere chi eravamo, per comprendere esattamente chi e cosa vorremmo essere.

Enrico Pinna

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