Quando fischiano le orecchie dei sovrani

Se dovessimo identificare con due parole la Spagna, e riassumere ciò che più la caratterizza e la definisce, probabilmente molti di noi penseremmo: monarchia e corride (non necessariamente in quest’ordine). Agli occhi del mondo si tratta, infatti, di istituzioni secolari e ben consolidate, che godono ancora di ottima salute. In realtà, due miti (per non dire tabù) da sfatare, che scricchiolano sempre più sotto il peso dei cambi generazionali e del progresso.

La corrida, ad esempio, soffre di una impopolarità diffusa da parte degli spagnoli, in particolare dei giovani. E, sebbene qualche esponente della intellighenzia nazionale provi a difenderne le valenze artistiche, ce ne sono altri che si esprimono apertamente contro, criticando la proposta dei partiti conservatori di dichiarare la tauromachia un bene di interesse culturale – al pari di un quadro di Goya o di una poesia di García Lorca, per intenderci – , e blindarla così dalle azioni legali portate avanti da associazioni ecologiste, o schermarla dalle normative europee in difesa dei diritti degli animali.

Allo stato attuale dei fatti, malgrado i quotidiani più letti di Spagna (El País e El Mundo in primis) si ostinino a dare ampio spazio alle corride nella sezione “cultura” dei loro giornali, alcune comunità autonome (Catalogna capofila), hanno già bandito dalle plazas de toros locali le espressioni più cruente di tale disciplina.

Per quanto concerne la casa reale, invece, hanno suscitato molte polemiche gli assordanti fischi che sabato scorso, nella finale della Copa del Rey (il corrispettivo della nostra Coppa Italia), si sono sollevati al Camp Nou di Barcellona durante l’esecuzione dell’inno nazionale, manco a dirlo in presenza del neo re Felipe VI, in tribuna d’onore per assistere alla partita. I tifosi delle squadre rivali, baschi e catalani, si sono accaniti a pieni polmoni sulle note dell’inno, sovrastandolo completamente.

Non si sono fatte attendere le reazioni degli alti vertici del partito al governo del Paese, i quali hanno annunciato che si stanno studiando dei cambi legali per penalizzare i fischi e qualsiasi altro tipo di attacco all’inno e alla bandiera nazionale. Se la riforma andrà in porto, sono proprio curioso di sapere come farà la polizia a identificare e multare i 60 mila facinorosi della prossima finale di Copa del Rey.

Certo, uno stadio, pur dando fiato alla pancia del Paese, non può essere rappresentativo di tutta la società spagnola, men che mai quando ospita sui propri spalti le “minoranze” più indipendentiste della nazione (baschi e catalani). Ma se oggi si dovesse indire un referendum per scegliere tra repubblica e monarchia, potrebbe essere la prima ad avere la meglio.

Anche perché le contingenze sono cambiate, e se al rinunciatario re Juan Carlos – legittimato al trono di Spagna nel 1975 per volere del dittatore Francisco Franco e divenuto popolarissimo nel 1981 per aver sventato un colpo di stato militare – gli si perdonava tutto, dalle ripetute scappatelle ai danni della reale consorte, alle foto ricordo con i trofei di caccia africani (elefanti, rinoceronti, bufali e leopardi, impallinati a caro prezzo, ma sempre a spese del contribuente), o anche l’omicidio, commesso a 18 anni compiuti, del fratello minore Alfonso, con un colpo accidentale di pistola, a Felipe non gli si riconosce nessun merito particolare se non quello di avere una sorella (la infanta Cristina) ed un cognato (Iñaki Urdangarin, marito di Cristina) attualmente sotto processo per truffa ai danni dello Stato, appropriazione indebita, evasione fiscale e malversazione.

Nelle ultime elezioni regionali e comunali del passato 24 maggio, molti spagnoli hanno dimostrato di non temere i cambi e di voler guardare al futuro con rinnovate speranze, ribellandosi alla logica del bipartitismo e della corruzione politica imperante. Emblematici sono i casi delle due grandi metropoli di Madrid e Barcellona dove, rispettivamente, saranno sindaci la giudice e giurista Manuela Carmena (impegnata da sempre nella difesa dei diritti umani) e l’attivista sociale Ada Colau (famosa per le battaglie contro il pignoramento della casa a famiglie indigenti o in difficoltà economiche).

E se una città come Madrid, dopo 24 anni di governo del Partito Popolare, trova oggi il coraggio di voltare pagina e andare oltre il sistema costituito, non mi sorprende che in un futuro nemmeno troppo lontano in tutta la Spagna si possano rimettere radicalmente in discussione istituzioni desuete e decadenti quali, per l’appunto, la monarchia e le corride.

In Italia, invece, lo slancio verso il rinnovamento politico fa fatica a decollare, così come non sembrano prioritarie la legalità o l’etica nella gestione della cosa pubblica. Tant’è vero che si continua a strizzare l’occhio a candidati e a partiti impresentabili, o a resuscitare neofascisti trasformisti, un tempo anti-terroni e ora anti-immigrati.

Atro che salire sul treno del progresso e del cambiamento! In Italia i salti li facciamo, ma all’indietro. E continuando a retrocedere di questo passo, se ci mettiamo d’impegno, magari riusciamo pure a ripristinare la monarchia, ché tanto allettanti sono i richiami all’ordine e all’autorità. Non è difficile. Basta seguire il consiglio che Saramago diede a un suo nostalgico connazionale: crea una squadra di calcio di soli monarchici, dai giocatori ai presidenti, dai dirigenti ai massaggiatori, e vai alla conquista dello scudetto. Se lo vincerai, tutto il Paese diventerà monarchico! Qualora ciò accada, però, fischiare in campo non sarà consentito neppure all’arbitro.

Andrea Ortu

Intervento pubblicato anche su https://quadernispagnoli.wordpress.com/

 

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