Vivere in un “caos apparente”: la crisi vista con gli occhi di Carl Gustav Jung

Quanto sono attuali la Psicologia Analitica e il pensiero di Carl Gustav Jung in un’epoca segnata da catastrofi, rivoluzioni, crolli e crisi? Se ne discute tra il 26 e il 28 settembre a Cagliari e Serdiana durante il Convegno di Psicologia Analitica “Caos Apparente. Jung nell’attualità”.

La storia della vita o, meglio, della crisi vissuta dal ‘13 agli anni ‘20 del Novecento da Carl Gustav Jung come “mito delle origini” della Psicologia Analitica.

Si è aperto, così, il convegno “Caos apparente. Jung nell’attualità”, ospitato venerdì 26 settembre dalla Mediateca del Mediterraneo, a Cagliari, e destinato a spostarsi, per le due giornate successive, presso la Comunità La Collina di Serdiana. Nelle domande e nelle risposte di uno Jung ormai quarantenne di fronte alla prima grande crisi dei valori occidentali rappresentata dalla Prima Guerra Mondiale (da cui scaturirono i totalitarismi e la società di massa), sembra racchiudersi uno dei punti fondamentali della riflessione junghiana.

Per Jung, il sintomo stesso è inerente al processo terapeutico. Cosa significa? Che se la crisi dei valori degli anni precedenti e contemporanei al primo conflitto mondiale è il sintomo, allora chi è riuscito a trovare anche un pezzettino di senso in una così grande catastrofe ha anche avuto la possibilità di salvarsi.

Passano gli anni, passando i decenni, ma il concetto resta fondamentalmente lo stesso. E così, anche la crisi attuale con il suo sistema ormai quasi totalmente sregolato può diventare un’opportunità da cui rinascere e risalire la china, a patto di essere consapevoli del declino.

Il fascino della teoria junghiana sta, però, forse nel fatto di poter essere applicata con altrettanta facilità sia alle “grandi” questioni sia alla più “piccola” quotidianità. Dai sogni alla maternità passando per la malattia: è sufficiente osservare, comprendere e accettare il sintomo per trovare la “cura” al sintomo stesso.

Questo il fil rouge attraverso cui si sono snodati gli interventi del primo pomeriggio di lavori, tra immagini di catastrofi e terremoti provenienti dal mondo dei sogni, fatti della stessa materia dell’inconscio collettivo e degli archetipi junghiani. In questo universo, anche la malattia è vista come manifestazione delle zone d’ombra presenti nell’inconscio e, quindi, come opportunità per integrare l’inconscio stesso. Se, infatti, il processo terapeutico è insito nel sintomo, allora nella malattia, il linguaggio del corpo si sostituisce a quello della lingua, alla parola, reclamando, invece, un cambiamento che, per essere tale, deve percorrere strade nuove, diverse da quelle a cui l’io si è abituato.

Perché ciò succeda, non serve essere un eroe; anzi, secondo Jung, i grandi eroi del passato non possono e non sanno percorrere queste strade. In un’epoca di crisi, scismi e rivoluzioni, infatti, nessuno è più in grado di riconoscersi in queste figure, che nascevano dagli abissi e portavano alla luce la coscienza. La stessa strada che deve essere percorsa si presenta, poi, come un percorso diametralmente inverso rispetto a quello che gli eroi, a loro tempo, avevano attraversato.

Si tratta, invece, di comprendere e accettare la crisi e, dunque, le zone d’ombra come momento di declino consapevole, per cogliere così quel pezzettino di senso celato nel cuore del caos “apparente”. Solo scoprendo e utilizzando nuove categorie, ci si potrà sentire meno destabilizzati e rendersi conto che, in fondo, quel che si sta vivendo in contesti diversi non è altro che “un cambiamento di stato, un nuovo inizio” che, per essere affrontato, esige una nuova presa di coscienza. Esige, cioè, che sia messa da parte la paura del futuro: una specie di salto nell’abisso ma a occhi ben aperti per cogliere nuove opportunità e finalmente risalire, prendendo coscienza di essere uomini tutti nuovi.

Morena Deriu

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