Max Leopold Wagner, un linguista con la macchina fotografica

Dopo aver girato la Sardegna in lungo e in largo in bicicletta e a cavallo, dopo aver stabilito uno stretto legame con le genti dell’isola alla fine Max Leopold Wagner parlava il sardo meglio di noi, come ebbe a scrivere Marcello Serra in un articolo sull’Almanacco di Cagliari di tanti anni fa. Il “padre della linguistica sarda” affrontò i suoi studi vivendo sul campo la vita dei sardi, condividendone le giornate, nella convinzione che una ricerca linguistica non può prescindere da una visione antropologica vissuta dall’interno e da un’attenta comprensione delle vicende sociali.

Il suo viaggio è stato quello di un precursore attento e determinato. Quando arrivò per la prima volta in Sardegna, nel 1905, non si era ancora spenta la polemica scatenata dalla pubblicazione del libro di Alfredo Niceforo “La delinquenza in Sardegna” in cui il giovane antropologo siciliano individuava nel centro dell’isola una sorta di “Zona delinquente” predisposta biologicamente ai reati contro la società, fornendo una facile giustificazione scientifica a tante efferate spedizioni di polizia. Wagner capovolse questa teoria visitando la Barbagia senza la scorta armata, offerta spesso agli studiosi, e affermando che a Nuoro, come in altre località della provincia, ci si poteva recare tranquillamente usando le normali cautele che ogni viaggiatore deve adottare in tutti i luoghi del mondo.

In tempi in cui si progetta di “censire” nuove “razze delinquenti” la storia di Wagner risuona ancora come un potente monito contro il pregiudizio e ci ricorda di quando eravamo noi la razza delinquente e poi successivamente razza migrante (ma pur sempre delinquente). Wagner fu un innovatore anche nel metodo di lavoro: fu uno dei primi ad utilizzare nelle sue ricerche il fonografo e la macchina fotografica. 

E proprio il Wagner fotografo è un tema interessante da osservare perché sono per la prima volta in mostra a Nuoro, al Museo del Costume  fino al 30 settembre, oltre 80 fotografie del grande  studioso tedesco. L’esposizione voluta e patrocinata dall’Isre e dalla casa editrice Ilisso è un omaggio all’incommensurabile amore, fermamente ricambiato, di Max Leopold Wagner per la Sardegna e l’occasione di valutare il suo fondo fotografico finora mai pubblicato interamente. La mostra sarà supportata da un catalogo, in fase di pubblicazione, che conterrà una selezione più ampia di immagini e qualificati affondi critici.

L’esposizione è curatissima, con un allestimento raffinato e scenografico, in cui gli affacci sulla città diventano sfondi per le immagini di grande formato che sembrano uscire dal museo per espandersi sulla vallata sottostante.  La mostra è una ricerca per gradi suddivisa in quattro temi narrativi: La donna sarda e il lavoro, L’uomo sardo e il lavoro, la Vita quotidiana in Sardegna e Villaggi e città della Sardegna. Il risultato è un racconto che va al di là della semplice registrazione documentaria o del supporto didascalico di altre discipline, come fu, ad esempio, per il reportage dell’archeologo Thomas Ashby. Il lavoro di Wagner, visto finalmente nella sua interezza e attentamente restaurato, è un accurato ritratto storico e sociale della Sardegna dell’epoca. Spicca rispetto ad altri lavori coevi, tecnicamente più accurati, ma troppo spesso indirizzati verso una visione folkloristica e precede di molti anni il lavoro di altri fotografi documentaristi, uno per tutti Ugo Pellis.

Soprattutto le prime tre sezioni mostrano una modernità di taglio inusuale per un “dilettante” e una straordinaria profondità di indagine sociale quando l’autore rivolge il suo obiettivo verso i falciatori di grano, verso i pescatori dello stagno o verso i piccoli Piccioccus de crobi, esempio tipicamente cagliaritano della miseria in cui versavano ampi strati della popolazione. Wagner entra in punta di piedi dentro le case mostrando piccoli mondi di oggetti e di gesti che raccontano di una società dove la povertà è portata con dignitosa fierezza.

Il viaggio fotografico di Max Leopold Wagner in Sardegna, al netto di qualche comprensibile sbavatura tecnica dovuta allo strumento utilizzato (un’ingombrante macchina 9×12 a lastre montata su cavalletto) e ai veicoli inadatti al trasporto di un’attrezzatura così impegnativa, ci mostra uno studioso che non si è limitato ad “ascoltare” ma che ha saputo “vedere” oltre lo stereotipo e il luogo comune, i connotati di una società arcaica che aveva saputo mantenere i tratti di una purezza e di un’ospitalità lontane dai facili cliché delinquenziali con cui veniva etichettata al tempo l’intera regione.

Enrico Pinna

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share