La scomparsa di Marianne Sin-Pfältzer, lo sguardo femminile sulla Sardegna del dopoguerra

La notizia è stata appena diffusa: la fotografa tedesca Marianne Sin-Pfältzer è morta a Nuoro a causa delle ferite riportate dopo essere stata travolta da un’auto lo scorso 10 agosto. Da dieci anni aveva scelto di risiedere nel capoluogo barbaricino. La sua presenza attenta e assidua nelle vicende umane e sociali dell’isola meritano un approfondimento sulla sua vita e sull’enorme patrimonio iconografico che ha prodotto,

Marianne Sin-Pfältzer approda in Sardegna per caso. Nasce ad Hanau nel 1926, da una famiglia di antinazisti. Finita la guerra e dopo la morte del padre, ancora incerta sul suo futuro, accetta un lavoro segnalatogli dal fratello, studente a Roma: una famiglia sarda cercava un’educatrice. Senza indugio Marianne raggiunge La Maddalena dove scatta anche le sue prime fotografie con una piccola fotocamera Agfa Isolette donatale dalla madre. Tornata in Germania studia fotografia e si trasferisce a Parigi dove frequenta l’ambiente dei fotografi e degli artisti.

Ritorna in Sardegna nel 1955 e, da allora, inizia un viaggio fotografico che la porta, a più riprese, a girare l’isola per un ventennio. Ancora le casualità del destino la aiutano. Muoversi per le strade sarde con i mezzi pubblici non era facile in quegli anni (neanche oggi, a dire il vero…). Persa la coincidenza con il “Postale” che doveva portarla a Oliena, non le resta che l’autostop. A fermarsi è l’auto di Guido Fossataro, editore cagliaritano con cui inizia un percorso editoriale molto fecondo che porterà alla pubblicazione di “Sardegna quasi un continente” con i testi di Marcello Serra. Gira il mondo, ma periodicamente ritorna in Sardegna, eletta a sua seconda patria e diventata l’arcaico ed ancestrale rifugio. Pubblica, a più riprese, le sue foto su libri e riviste tedesche, le espone in diverse mostre, facendo conoscere l’isola in Germania.

La sua lunga frequentazione con l‘isola ha prodotto il più cospicuo e capillare repertorio fotografico sulla Sardegna del dopoguerra. Una Sardegna colta dalla fotografa nella critica fase di passaggio e di trasformazione da società arcaica verso un’idea di modernità spesso confusa, contradditoria e mai completamente realizzata.

Quello di Marianne Sin-Pfältzer è uno dei pochi sguardi femminili sulla Sardegna del dopoguerra, uno sguardo che indaga con curiosità e passione luoghi, volti e mestieri di un’isola proiettata verso la modernità ma ancora saldamente legata alle proprie radici . Uno sguardo delicato e sensibile nel cogliere e nel vedere, ma forte, personale e deciso nel raccontare. Con una grande capacità di empatia con le persone, che le consente una sintonia con i soggetti che traduce in ritratti intensi e coerenti con una visione sempre attenta agli umili.

La sua fotografia  ha uno stile rigoroso nelle inquadrature, straordinariamente concentrato sulle vicende umane, attento ai paradossi e ai contrasti di un’isola ancora in bilico fra passato e presente, con un’idea di futuro ancora indefinita. Di questa terra ha saputo cogliere, meglio di tanti più celebrati colleghi, l’indole del suo popolo, lo spirito dei luoghi e i segni contradditori di un mondo arcaico in cammino verso il futuro.

L’opera di Marianne è stata pubblicata nel 2012 (Ilisso Edizioni), all’interno del volume monografico “paesaggi umani” (cliccare qui), editato anche in lingua tedesca nel 2015. “Il volume – come recita l’abstract – è un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia conoscere nel profondo la Sardegna: la pesca, la lavorazione del pane, dei dolci e del sale, la produzione di ceramica, tessuti, cesti e gioielli tradizionali, le feste paesane e le relative processioni, le architetture tipiche, e ancora la produzione di bottarga e campanacci, la conservazione di frutta e ortaggi, la produzione e l’esportazione del formaggio e, ancora più inaspettata, la protesta giovanile nel 1968… e molto altro ancora. L’intensa colonna iconografica è accompagnata dal testo partecipato e coinvolgente dell’antropologo e scrittore Giulio Angioni”.

La fotografa ci lascia in eredità un fondo di 13.000 negativi che sono un contributo fondamentale per ricostruire la nostra identità di popolo. Quelle immagini, amorevoli ma mai pietose, precise e coinvolgenti ci raccontano come eravamo. E in tempi come questi, dove l’identità vacilla e la rotta sembra quanto mai incerta, sapere da dove siamo partiti può aiutarci a capire dove vorremmo andare. Marianne Sin-Pfältzer ci indica, con la sua fotografia la strada per una riflessione. Ed è questo il suo dono più prezioso, il suo gesto d’affetto per la terra che amava e dove ha scelto di vivere i suoi ultimi anni di vita.

Enrico Pinna

 

 

 

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