Il Sulcis di Ottonello e le Variazioni di Simeone all’Exmà: quando la materia si fa arte

Nell’arte contemporanea la creatività e la ricerca espressiva dell’artista passano spesso attraverso l’uso di materiali eterogenei che, trasformati da una complessa opera di scelta, accostamento e lavorazione, significano e caratterizzano l’opera. Così la materia, arte intrinseca, diventa, nelle mani dell’artista, messaggio, metafora, simbolo ed incessante sperimentazione di raffinati linguaggi artistici. All’exmà di Cagliari due artisti, Antonello Ottonello e Marcello Simeone offrono, in due mostre distinte, uno scorcio di questa  tendenza.

Antonello Ottonello, artista di spicco nel panorama dell’arte moderna in Sardegna espone, nella sala delle volte “Colorpietra”, una mostra che porta a compimento una narrazione intorno al mondo minerario del Sulcis cominciata con la mostra Ingurtosu nel 1993. Il Sulcis di Ottonello ha i colori e le rugosità della pietra, la trama sottile della sabbia, l’inquietante suggestione degli scarti di miniera. Composizioni spesso coperte da un sottile strato d’acqua che ne esalta i cromatismi. Come scrive la curatrice Simona Campus nel bel catalogo (curato nella grafica e nella fotografia da Giorgio Dettori) “ le sue composizioni hanno la raffinatezza di pitture astratte dipinte con le sabbie e con le pietre di scisto. I colori si offrono allo sguardo e alla sensibilità, rigorosamente, senza alcuna alterazione, senza alcun intervento da parte dell’artista, che non reclama il compito di modificare la natura, ma di preservarne la bellezza, in un coincidere di etica e armonia”.

Ma l’opera di  Ottonello non è mai indifferente alla vicenda umana e al contesto sociale. Da profondo conoscitore del Sulcis sa bene che ogni ruga scavata sulla roccia dal tempo o dalle miniere è spesso una ferita profonda per la sua gente. E, come le valigie simbolo dell’emigrazione, le sue composizioni di pietra lasciano intravvedere, dietro una raffinata bellezza, la sottile e suggestiva metafora di una terra ricca di contraddizioni insanabili.

La pietra simboleggia e caratterizza una regione che da essa ha tratto ricchezza e sofferenza, lavoro e disoccupazione. E in questo Sulcis è ancora la pietra a caratterizzare, nel bene e nel male, paesaggi e colori restando impressa indelebilmente nell’animo della sua gente.

«La mia ricerca sul Sulcis— dice l’artista — è ormai conclusa. E’ giunto il tempo di guardare altrove. Per esporla ho atteso la disponibilità di uno spazio adeguato dove le opere avessero il giusto ritmo di pieni e vuoti. La mia speranza è che questo lavoro stimoli la gente a visitare questi posti per ritrovare le sensazioni e suggestioni che hanno accompagnato il mio lungo viaggio interiore in questo affascinante mondo di pietra e di colori».

Con “Variazioni” Marcello Simeone coniuga la sua formazione di musicista con l’arte visuale a cui si dedica da tempo. La sua ricerca è tesa ad accostare, in un’affascinante sinestesia, musica e arti visive. La lana, con il suo potente immaginario simbolico, costituisce la base, la tessitura di composizioni che utilizzano oggetti eterogenei per realizzare opere in cui Simeone ha reso complementari i materiali all’immaterialità della musica.

“Simeone — scrive Simona Campus nel testo critico — ha “guardato” ad uno dei più grandi monumenti della musica di tutti i tempi: quelle Variazioni per clavicembalo universalmente conosciute con il nome, apocrifo, di Goldberg, composte da Johann Sebastian Bach fra il 1741 e il 1745, ineguagliabili in perfezione tecnica e portata emotiva. Grazie agli impulsi di un software appositamente progettato dall’interactive designer Giulio Lai, l’artista ha transcodificato in vibrazioni di luce l’Aria dalla quale le Variazioni prendono avvio; la luce interseca la trasparenza del vetro disposto in colonne, i cui moduli cromatici rendono visibile la simmetria intrinseca ai trentadue elementi del capolavoro di Bach”.

Il risultato sono opere che hanno una tavolozza di colori che eguaglia la ricchezza timbrica delle note di un clavicembalo che suona fuori campo. Opere dove luce, vetro e, soprattutto, superfici specchiate ci riportano ad una simbologia di mondi eterei e immaginari che viaggiano sulle note della musica per assecondare un delicato fluire di sensazioni che da ricerca intima e personale dell’artista si trasformano, per il visitatore, in un viaggio nell’inconscio più profondo.

Due mostre che indagano mondi distanti con percorsi artistici e declinazioni estetiche assai differenti ma che ritrovano una comune convergenza nel linguaggio universale dell’arte e nella capacità degli artisti di coinvolgerci nelle loro emozioni.

Enrico Pinna

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