FAS – Immagini del tempo sospeso: quel che resta di un sogno industriale

Difficile vedere dei ruderi abbandonati senza subirne il malinconico sottile fascino, soprattutto quando riguardano architetture industriali ormai in disuso. Sembra contengano ancora la fatica, le speranze, le delusioni di chi ci ha lavorato. Sono testimoni di un’epoca, di un sogno, di un’idea. Sono anche i segni di un fallimento, di una scarsa lungimiranza o solo delle crudeli leggi del mercato. Testimoni muti di un’epoca vivono ora in un tempo sospeso.

La FAS, acronimo di Ferriere e Acciaierie Sarde produceva tondino di ferro per cemento armato. Tutto ebbe inizio quando il Commendator Stefana, industriale bresciano, rilevò l’acciaieria dei fratelli Fadda, ai piedi del vecchio ponte della Scafa, per trasferire la produzione nei nuovi capannoni di Elmas negli anni ’60. Negli stessi anni la famiglia Stefana aprì anche un’altro impianto nella zona industriale di Porto Torres, anch’esso ormai in disuso.

La produzione di queste acciaierie ha accompagnato, insieme al cemento delle cementerie sarde, l’enorme boom edilizio del dopoguerra sino alla crisi europea della siderurgia. la FAS era in grado di produrre ogni anno fino a 80.000 tonnellate di tondino per cemento armato occupando, negli anni ’70, una forza lavoro di 280 impiegati. Negli anni ’90 però il sogno svanisce: dissidi familiari e crisi economica portarono al fallimento dell’azienda nel 1995. I capannoni dall’importantissimo valore architettonico – il più grande venne realizzato ad immagine e somiglianza della stazione Atocha di Madrid – sono stati svuotati e abbandonati in attesa di un nuovo futuro che ne preservi la struttura.

“FAS – Immagini del tempo sospeso” è la mostra fotografica di Alessandro Spiga visitabile presso La Libreria di Via Sulis dal 18 al 28 maggio. L’inaugurazione sarà alle ore 19,00 con aperitivo offerto dalle cantine Antigori. L’eclettico fotografo cagliaritano affronta per la prima volta il tema dell’archeologia industriale e lo fa in un racconto per immagini con un bianco e nero dai tratti decisi e dal sapore amaro. Quel che resta di un sogno è contenuto in tanti frammenti di vita, in oggetti dimenticati, nei cartelli ormai inutili e paradossali.

Le belle strutture fanno gola a chi pensa di sostituire con centri commerciali, nuovi paesi dei balocchi della nostra civiltà, le vecchie fabbriche. Siamo un’isola che da produttrice di beni è diventata venditrice di quelli prodotti da altri. E il destino della FAS, dopo le necessarie bonifiche ambientali, sarà questo.

Resta il reportage di Alessandro Spiga a ricordarci un tempo in cui il nostro paese viveva di un equilibrio fra apparato produttivo e commercio, alimentando il secondo con gli stipendi distribuiti dal primo. Restano, come in troppi luoghi della Sardegna, quei capannoni abbandonati ancora in bilico fra passato e futuro. Ancora immersi in un tempo sospeso.

Enrico Pinna

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