Sono passati trent’anni dalla storica e apprezzata mostra “Sardegna preistorica. Nuraghi a Milano” con le foto di Gianni Berengo Gardin. Era il 1985 e il grande fotografo abbandonò per un attimo il reportage sociale per raccontare la Sardegna nuragica, i paesaggi di pietra dalla presenza umana discreta e rarefatta. Ora, vicino ai novant’anni, ritorna per un nuovo viaggio per rivisitare i luoghi del passato.
Guidato dalla selezione operata da Marco Minoja, già soprintendente archeologo della Sardegna, Berengo Gardin mette nuovamente la sua arte al servizio del paesaggio nuragico sardo. I suoi scatti, raccolti anche nel volume “Architetture di Pietra – Fotografie della Sardegna Nuragica” edito da Imago, sono in mostra nei locali della Fondazione di Sardegna, in via San Salvatore da Horta 2 a Cagliari, sino al 31 agosto: 40 opere, rigorosamente in bianco e nero, suddivise in sette sezioni, una per ogni giorno di viaggio nei territori dell’isola. Le fotografie sono accompagnate da un breve testo con le impressioni di studiosi, archeologi e giornalisti incontrati durante il tragitto.
L’iniziativa è promossa dalla Fondazione di Sardegna nell’ambito di AR/S – Arte Condivisa in Sardegna, la piattaforma progettuale che si propone di sviluppare momenti di scambio col territorio attraverso mostre, dibattiti, incontri per la condivisione del patrimonio artistico, storico e culturale dell’isola.
“Attraverso la roccia immortale, le pietre possenti, le robuste cortecce degli alberi e gli effimeri fili d’erba, le fotografie in bianco e nero di Gianni Berengo Gardin, fedeli all’arte della pittura con la luce e l’ombra, evocano questo nostro eterno sardo” scrive Alessandro Usai, funzionario archeologo e direttore degli scavi archeologici di Mont’e Prama. Marco Giuman, docente di archeologia classica all’Università di Cagliari, evidenzia “la capacità sapiente di restituire l’immagine per quello che è, senza forzature, con una linearità naturale che è all’un tempo cifra stilistica e scelta concettuale. Ma, a ben guardare, bastano da sole le sue fotografie per dimostrare quale sia e in cosa consista la grandezza di Berengo Gardin”.
Berengo Gardin è noto per etichettare il retro delle sue fotografie con la scritta “Vera fotografia” prendendo decisamente le distanze dalla fotografia digitale che bolla come “illustrazione”. Non sorprende quindi il confronto dei suoi scatti attuali con quelli di trent’anni fa pubblicati nella seconda parte del volume: la cifra stilistica ed estetica è immutata, potete rimescolare vecchie e nuove immagini senza riuscire a cogliere la differenza. Gli strumenti tecnici, Leica e pellicola, sono ancora quelli e anche la visione dell’artista è un marchio di fabbrica coerente con le sue vecchie immagini.
É il contesto a rivelare il tempo che è passato: il nuraghe Losa coperto di vegetazione, il contadino a dorso d’asino che passa davanti al monumento tradisce un paesaggio “antico” oggi popolato da tanti turisti che il fotografo ha attentamente escluso dalle sue inquadrature.
Ma il viaggio di Berengo Gardin non è solo una documentazione di siti archeologici. Al suo occhio di fotografo sociale non sfuggono certi particolari: le pietre dell’antica torre nuragica Antigori di Sarroch sovrastano e stridono con le moderne torri di lamiera della raffineria Saras in un simbolico passaggio dalla civiltà della pietra a quella del petrolio.
Una visione coerente con la storia del fotografo e con la sua produzione di fotografie d’architettura come le case contadine, fotografate per il Touring, dove tutto parlava dell’uomo anche quando non era presente nell’inquadratura.
Nella pagina d’apertura del volume è scritto: “nessuna delle fotografie di questo libro è stata modificata, corretta o inventata al computer” certamente a sottolineare che si tratta dell’autentica, immutabile e coerente “vera fotografia” di uno dei più grandi fotografi viventi.
Enrico Pinna