Disarmante: a Cagliari tre giorni d’arte per disarmare un mondo belligerante

C’è una Sardegna da visitare, da vivere in pace, che si fa ammirare in ogni stagione orgogliosa delle sue bellezze. É la Sardegna del mare pulito e delle spiagge caraibiche delle foreste millenarie, meta privilegiata per turisti e vacanzieri. E c’è una Sardegna che non si mostra, che ama nascondersi dietro segreti di stato e blindarsi per sfuggire ad ogni confronto. I suoi luoghi non sono fascinosi, sono spesso inquinati e sempre misteriosi e inaccessibili.

É la Sardegna dove si concentra il 60% delle servitù militari nazionali, la Sardegna dei poligoni di tiro e dei giochi di guerra, delle discariche al di sopra della legge, esercizio di quotidiana arroganza del potere. Luoghi come Quirra, dove il diritto cede di fronte alla “ragion di stato” e luoghi che ancora sfuggono ad ogni indagine nascondendosi dietro comodi segreti militari. É l’isola che esporta bombe e tecniche di guerra e importa migranti disperati che da quelle guerre fuggono con un rapporto causa-effetto chiaro, ma che è opportuno negare.

In questo scenario Funivie Veloci propone l’esposizione collettiva DISARMANTE. L’esposizione (cliccare qui per il programma) sarà itinerante, tra spazi pubblici e privati, si terrà a Cagliari nei quartieri storici di Villanova, Marina e il Molo Marina di Su Siccu , il 23, 24 e 25 giugno. Video documentari, fotografia, installazioni, pittura, grafica, illustrazioni e arte performativa per filtrare, con i linguaggi dell’arte, problemi come la militarizzazione globale, il controllo sociale, la guerra, i flussi migratori, la gestione dei confini, l’industria bellica ma anche la resistenza, la solidarietà, le fughe e l’utopia. Partendo dall’assunto che “l’arte, nel bene o nel male, ha accompagnato le grandi rivoluzioni sociali e i cambiamenti, a volte ne ha rafforzato gli immaginari, ha saputo anticipare utopie e sa essere visionaria. Capace di mostrare con diversi linguaggi quello che viviamo, ha il potere di formalizzare il dissenso dichiarando da che parte sta”.

Fra i progetti in mostra segnalo:

We Are Human di Federico Verani e Melissa Favaron, reportage nel campo profughi nei capannoni della ex ferrovia di Belgrado.

The Rescue di Francesco Giusti, che ha raccolto e fotografato sul luogo del ritrovamento un’incredibile quantità’ di istantanee di famiglia, foto di identità, documenti ufficiali, lettere, diari ed altri possedimenti, persi o abbandonati dai migranti in seguito all’attraversata in mare. Frammenti di storie raccolte nella polvere.

Borders di Monica Lozano con storie estrapolate dal luogo originale, decontestualizzate, concentrando lo sguardo solo sul soggetto e sul metodo utilizzato per raggiungere lo scopo. Il soggetto è mostrato con dignità e totalmente concentrato sulla azione. Immagini silenziose che parlano da sole.

Naufraghi proposto da Simone Luca Pierotti pone l’accento, tramite un’installazione artistica,  sulla condizione dei singoli individui che affrontano la migrazione, ponendo l’attenzione non sul concetto di “migrante” inteso come massa indistinta di uomini ma come singolo individuo. Le persone sono rappresentate sulla superficie del mare, facendole  galleggiare all’interno di un’elemento che metaforicamente  simboleggia l’instabilità e la fragilità dell’esistenza del singolo individuo.

Arc La Rue presenta le sue Cartoline in tema con la fabbrica di bombe RVM di Domusnovas.

Tomaso Mannoni propone Italia 2017, video impressionista in un montaggio di contrappunto tra spiagge, coste, mare di Sardegna e poligoni militari.

Jean Boiron Lajou con Parole de Bandit propone un video dedicato a Cédric Herrou, condannato per “delitto di solidarietà” in Francia.

“Il titolo Disarmante – recita il comunicato di Funivie Veloci che cura la manifestazione – ha ancora una volta un duplice significato. Se da un lato sottolinea effettivamente una situazione disarmante, in realtà mostra chiaramente la volontà e il desiderio di disarmare un mondo belligerante”.

Tante proposte artistiche che invaderanno come un fiume alcuni quartieri della città, legate da un comune fil-rouge di denuncia e presa di coscienza del rapporto perverso fra “produzione” bellica e “fruizione” della guerra da parte di popoli in fuga. Denuncia forte e chiara che lascia chiaramente intendere, con i linguaggi dell’arte, una volontà di resistenza ed opposizione a un sistema di valori mostruoso, troppo spesso cinicamente intorbidito dalla politica e dal potere, sempre ostaggio del ricatto economico che costantemente accompagna le ambigue connivenze fra gli stati e la guerra.

Enrico Pinna

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