Diario di viaggio di Matrilineare di Grazia Dentoni. Quinta tappa: Armungia

Questo è il diario di viaggio di un progetto che dal 22 luglio al 5 settembre attraverserà il Sarrabus-Gerrei-Trexenta nell’ambito delle attività di Geografie sommerse. La sua storia comincia tre anni fa da un’idea di Grazia Dentoni, attrice e regista teatrale ispirata dalla propria esperienza di gestazione e dalla formazione come doula al fianco di gestanti e partorienti. Il progetto (all’interno del Teatro di Pace in Sardegna) si chiama Matrilineare e dopo le ultime due sessioni tra il Museo archeologico e alcuni siti d’interesse di Cagliari, grazie al Gal si sposta nel cuore del sud Sardegna. L’obiettivo è indagare attraverso il linguaggio teatrale e poetico il processo creativo in tutte le sue manifestazioni. Dopo le tappe di Ballao, Goni, Escalaplano e Siurgus Donigala, quello di Armungia è il quinto e ultimo appuntamento.

È passato poco più di un mese da quando la carovana di Matrilineare ha cominciato il suo viaggio attraverso il Sarrabus-Gerrei-Trexenta. Strade tortuose e interminabili, di quelle che a ogni curva regalano uno scorcio indimenticabile; piccole piazze con visi diventati familiari, a cui chiedere indicazioni per il semplice piacere di scambiare due chiacchiere; angoli di Sardegna mai visitati, nonostante distino meno di un centinaio di chilometri da casa. Per una parte della carovana, Armungia è uno di questi: il paese scelto per la restituzione finale di Matrilineare nell’ambito di Geografie sommerse è quello che ha dato i natali a Emilio Lussu e che, con il nuraghe al centro e l’ospitalità dei suoi cinquecento abitanti, riunisce alcuni degli aspetti più belli di questo viaggio.

armungia2Nel gruppo la tensione si sente, anche se Grazia non si stanca di ripetere che non si tratterà di uno spettacolo ma di una restituzione pubblica; il laboratorio non sarebbe esistito senza gli spazi messi a disposizione, l’accoglienza e la disponibilità di tanti e i soliti e piccoli inconvenienti che, quasi inevitabilmente, accompagnano queste esperienze. Quindi, ora, è il momento di restituire qualcosa al territorio e ai suoi abitanti. Detto questo, visi e sorrisi non nascondono quel tantino di sana e inevitabile apprensione: ci sono spazi con cui prendere confidenza (la meravigliosa corte in pietra del Museo Lussu dove ci sarà la restituzione) e maschere da indossare. Quando finalmente alle 20 e 30, il portone si apre, i tecnici hanno fatto una magia: lo spazio in penombra, illuminato dalla discrezione dei giochi di luce, ricrea l’atmosfera che ha accompagnato le tappe del laboratorio. In più c’è il pubblico, accolto dalle parole di Raimondo Demuru sulla matrilinearità nella società sarda e da donnine scalze avvolte nel nero del lutto, che al ritmo del Deu seu Deu, creano e sciolgono tensioni lasciando finalmente cadere gli abiti in un Ballu tundu. Il nero lascia spazio al bianco, la rigidità al movimento, la compostezza alle risa e al gioco. Il cerchio è l’elemento attorno a cui si intrecciano gli orditi della festa; al ritmo delle Cinque esse di Maria Lai, l’albero della vita di Matrilineare prende forma e dà voce a racconti di donne che si tramandano da generazioni e dove il confine tra magia, realtà e fantasia si è ormai perso. A chiudere e sottolineare il legame tra questi mondi, il canto dell’Andimironnai accoglie in un grande cerchio buona parte del pubblico. I nodi si sciolgono e l’ordito è ben teso. Mentre anche i confini tra teatro, palcoscenico, pubblico e realtà vengono meno, la restituzione è completa e come da rito, non può che finire a taralli e vino. Sul piazzale di fronte al Museo, si brinda con un bicchiere di vino: a attrus annus cun saludi!

Morena Deriu

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