Asylum: all’Exmà l’arte della follia

Non è semplice camminare nei cunicoli bui della malattia mentale. Non lo è certamente per chi la vive sulla propria pelle, ma neanche per chi cerca di esplorarli, di addentrarsi nei meandri della psiche per capire, curare, aiutare. E non lo è neppure per chi deve trovare le parole per scrivere di un tema che non lascia respiro e per il quale le parole possono non esserci.

La malattia della mente è stata, fra tutte, quella più misteriosa, più incompresa e, anche, più inquietante. Se nell’antichità la follia aveva una connotazione mistica nel medioevo era ricondotta alla possessione del demonio. Poi inventarono i manicomi dove contenere e nascondere alla vista i malati, inventarono trattamenti come l’elettroshock e la lobotomia fino a quando, timidamente, si affacciarono scienze come psicologia e psicanalisi che iniziarono finalmente un percorso di comprensione e di cura. Poi la sintesi dei primi psicofarmaci e la nascita dell’antipsichiatria che nel 1978, con la legge Basaglia, portò all’abolizione dei manicomi che però continuarono ad esistere ancora per tanti, troppi anni. Al contributo della scienza cominciò ad aggiungersi il contributo dell’arte che, essendo sintesi emozionale estrema e diretta, riesce a rendere un punto di vista differente e coinvolgente.

Con questo scopo viene proposta Asylum che è il titolo della nuova mostra che l’EXMA di Cagliari ospita sino al 14 maggio negli spazi espositivi della Sala delle Volte. La mostra, curata da Roberta Vanali e Efisio Carbone, presenta le opere di 32 artisti, provenienti da tutto il territorio nazionale con differenti background, con una cifra stilistica vicina a quella corrente denominata Art Brut (che nasce per indicare produzioni artistiche di autodidatti e di pazienti psichiatrici, ovvero di coloro che operano al di là di regole estetiche convenzionali) o che trattino tematiche relative ai disturbi mentali e a tutto ciò che ne consegue per indagare la tematica della follia e quanto l’idea di questa sia variabile a seconda dell’ambito. Sono presenti opere pittoriche, fotografiche, installazioni e video.

Lungo il percorso della mostra incontriamo il disagio mentale rappresentato e autorappresentato in tutte le sue connotazioni. Volti mostruosi che simboleggiano la difficoltà sociale di essere visti, di mostrarsi, occhi vitrei che guardano altrove, incrostati da lacrime solidificate. Le ossessioni della mente diventano mostri inquietanti, i demoni che agitano dentro, quelle voci che parlano, ordinano, confondono gli schizofrenici si materializzano in figure deformi e mostruose. Anche un abbraccio si carica di angoscia e di innaturale contorsione. Per qualcuno c’è il rifugio del sogno a placare la mente, oppure il ritornare, come anime finalmente libere, nei luoghi di contenzione ormai abbandonati e sgretolati. O, ancora, la regressione come modalità  difensiva di ritorno simbolico a forme precedenti di sviluppo del pensiero rappresentata con dipinti ingenui ed infantili.

Poi le sbarre, quelle sbarre metalliche che hanno rinchiuso, contenuto, impedito che sono il simbolo della distanza e della separazione che è sempre destrutturante e distruttiva E quando non ci sono ostacoli fisici ecco le sbarre sociali, quelle dello stigma, dell’indifferenza, o quelle di chi non vuole vederti, che si gira istintivamente dall’altra parte. Poi quelle farmacologiche, camicie di forza chimiche che sfumano la visione con una nebbia indefinita ed ovattata che tutto seda, tutto rallenta, tutto impedisce. Quelle sbarre sono, forse, il fil-rouge che lega opere fatalmente eterogenee e tiene insieme un percorso espositivo duro ed inquietante. Sbarre ben simboleggiate da quella busta di cellophane che imprigiona un viso, che soffoca la parola e il respiro, che sfuma e confonde i contorni, che impedisce di essere visti, sentiti, ascoltati. Ed efficacemente rappresentate dall’ossessiva e sferragliante installazione video.

Oltre alle opere degli artisti in mostra, verrà esposta la documentazione relativa ad alcuni workshop svolti da pazienti psichiatrici. Nel corso della mostra sono previsti diversi eventi collaterali tra cui una serie di interviste/talk con gli artisti, una rassegna cinematografica e una conferenza.

Non è un sentiero semplice quello che ci propone chi ha curato Asylum, anzi è un percorso duro, che ti lascia senza fiato, che non ti nega né la tensione e nemmeno un pugno sullo stomaco. Ma come tutti i sentieri che si inerpicano passando sopra aguzze pietraie e ripidi canaloni ci portano in alto, dove l’occhio è libero di guardare più lontano, di avere una visione più ampia, più spaziale. Questa è la strada che l’arte propone, il suo contributo per la comprensione e la riflessione che è la premessa necessaria per una vera accettazione culturale e sociale della malattia mentale.

Enrico Pinna

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