Al MAN di Nuoro la grande fotografia di Garry Winogrand

Se per Henry Cartier-Bresson fotografare significa “porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore” per produrre un raffinato mix “di proporzioni, di rapporti tra neri e bianchi” per Garry Winogrand, che di Cartier-Bresson era l’esatto opposto, la fotografia è puro istinto, materiale grezzo in cui lo sguardo dell’esteta lascia il posto a quello apparentemente distratto, quasi casuale, spesso ironico con cui guardava la società americana. Diceva di fotografare «per vedere come appare il mondo quando è stato fotografato» e per farlo non si preoccupava mai delle regole auree dell’arte.

Dopo Vivian Maier, sconosciuta (in vita) street photographer bulimica e compulsiva, al museo MAN di Nuoro è di scena Garry Winogrand, anche lui street photographer (ma di successo) negli stessi anni, anche lui bulimico e compulsivo cacciatore di immagini. Alla sua prematura morte, avvenuta nel 1984 all’età di 56 anni, lasciò 2500 rullini fotografici non sviluppati, 6500 sviluppati ma non stampati, e altri 2000 provini non selezionati per un totale di trecentomila scatti da collocare nella terra di nessuno delle fotografie non viste e quindi non scelte dall’autore. Un “naufrago delle immagini”, per usare una felice definizione di Michele Smargiassi.

Curata da Lola Garrido la mostra appena inaugurata al MAN di Nuoro presenta, per la prima volta in Italia, la collezione completa delle fotografie di Garry Winogrand che, nel 1975, andarono a comporre il celebre volume “Women are Beautiful”, divenuto oggi un vero e proprio oggetto di culto. Immagini istantanee, proposte in mostra attraverso una serie di stampe originali, che celebrano la figura femminile con uno sguardo autentico, in cui si mescolano ammirazione e ironia, venerazione e sarcasmo.

“Con “Women are Beautiful” — scrive la curatrice Lola Garrido — Winogrand coglie la vita e i suoi sviluppi, con un evidente trasporto verso ciò che fotografa. Le sue donne sono vitali, sicure di sé, felici, senza complessi, donne che vanno per la propria strada e la cui libertà le rende più affascinanti. É il momento in cui ci si ribella contro la dittatura di “ciò che gli altri potrebbero dire”.

Un lavoro controverso a cui non furono risparmiate critiche. Se infatti agli occhi di alcuni leggevano le sue fotografie come una gioiosa riflessione sull’emancipazione della donna e sulla sensualità, altri vedevano negli evidenti riferimenti sessuali e nell’indugiare dell’obiettivo su scollature e minigonne una visione maschilista e misogina.

D’altronde la sua fotografia ha sempre avuto una doppia lettura.  L’ interpretazione radicale dei suoi maestri Robert Frank e Walker Evans ha sempre suscitato pareri contrastanti. Per il critico A. D. Coleman era “un instancabile primate con fotocamera annessa, inconsapevole, irresponsabile e disinteressato al risultato”. Il suo grande amico Joel Meyerowitz, definisce le sue immagini “un urto e un abbraccio allo stesso tempo: lui è una contraddizione e le immagini sono contradditorie”.

Per Michele Smargiassi “Winogrand non fotografa il mondo. Fotografa l’atto di fotografare il mondo. Fotografa il mondo che si mostra alla macchina fotografica. E nel mondo Winogrand si getta come un esploratore nella giungla, come un pescatore sull’oceano, raccoglie reperti, getta la rete della sua Leica con grandangolare, porta a casa un carniere bruto pieno di cose da decifrare poi. Da farsi decifrare, da farsi raccontare”.

Le donne e, più in generale, i protagonisti delle foto di Winogrand sono inscindibili dallo scenario volutamente  sovraccarico di elementi di dettaglio. Lo sfondo urbano complesso e variegato contribuisce a tratteggiare il suo soggetto restituendolo in tutta la sua complessità. Gli sfondi non sono casuali o secondari, né rumore visivo trascurabile. Sono inclusi di proposito, talvolta giocando con l’inclinazione della macchina fotografica, sono elementi che danno forza e che caratterizzano il soggetto ritratto.

“Women are Beautiful” è una mostra imperdibile per scoprire un fotografo dalla visione complessa e, a suo modo, raffinata che Joel Meyerowitz, compagno di battute di caccia urbana, definisce: «un corpulento e sciatto, taciturno, quasi sgarbato camminatore instancabile sui marciapiedi di New York, a caccia di corpi in azione, con un istinto percettivo affamato e sicuro, consapevole di un limite: «so cos’è quel che vedo, ma cosa significa?». Che nell’ansia di farsi raccontare il mondo dalle sue fotografie ne ha scattato una quantità così smisurata da non essere più in grado di vederle tutte.

Enrico Pinna

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