After the future: i paesaggi insonni di Thierry Konarzewski

“Il mare non è mai stato amico dell’uomo. Tutt’al più è stato complice della sua irrequietezza”. Lo scrisse Joseph Conrad, inquieto marinaio dell’anima, nel suo romanzo “Lo specchio del mare”. E quelle terre incerte, volubili e variabili, quelle spiagge bagnate dall’oceano atlantico, che vivono il tempo breve di una marea per morire e risorgere il giorno dopo in un ciclo senza tregua, sono specchio dell’esistenza, compagne di viaggio dell’incertezza, metafora accelerata del ciclo della vita. Luoghi dove il presente si fa futuro liquido e mutevole, dai confini indefiniti. Un presente dove l’uomo ha espropriato alla natura il paesaggio per ridisegnarlo a suo piacimento con i detriti della sua effimera civiltà senza futuro.

Paesaggi instabili dove la visione non spazia su rocce antiche ed immutabili o su alberi secolari ma su frammenti di mondo mai uguali, sempre in movimento. Che si fanno metafora di paure ed inquietudini che un artista sensibile come Thierry Konarzewski, come una marea senza posa, riesce a far affiorare e rappresentare con emozionante e poetico disincanto.

La sua mostra “After the future” sarà inaugurata sulla banchina della Marinatour di Carloforte sabato 17 giugno alle 19.00 e resterà sino al 3 settembre 2017. Sono 10 immagini, prese sulle spiagge dell’atlantico modellate dalle maree, che si muovono sullo stesso fil-rouge della precedente mostra Enosim.

“Trilogia dello sguardo di K” – scrive la curatrice Raffaella Venturi nel suo testo “paesaggi insonni” – è una serie di tre mostre fotografiche che compongono una visione panica. Lo sguardo di Thierry Konarzewski indaga compulsivamente un unico grande tema: quello della caducità delle cose del mondo, o del mondo delle cose. Dopo “Enosim”, “After the future” ribadisce, con differente poetica, il nostro rapporto deleterio e degradato con l’ambiente. Una trilogia per una contemporanea vanitas, che la fotografia rende, allo stesso tempo, vera e visionaria. Ma, soprattutto, irrimediabilmente vera. Poi ci sarà pure una terza serie, un terzo sguardo. Ma questa è un’altra storia ».

Gli scarti della civiltà dei consumi continuano ad agitarsi nelle riflessioni dell’artista, da cui affiorano tutte le ansie per un genere umano in marcia verso la sua autodistruzione. Se “Enosim” era l’incontro visionario con le avanguardie di guerrieri di plastica, lo scenario di “After the future” si evolve verso l’invasione ormai avvenuta: la plastica si fa ora incombente, sovrasta lo sfondo. I rifiuti dell’uomo si prendono la scena, si fanno essi stessi paesaggio solitario ed inquietante. Ci suggeriscono un’idea di futuro livido e grigio, da fine del mondo.

“Se un giorno la nostra civiltà bulimica sparisse, soffocata – scrive l’artista – io sarò l’ultimo degli uomini. Sarò il sopravvissuto, colui che camminerà all’infinito lungo gli oceani alla ricerca di un segno, dell’altro. L’orizzonte sarà così vuoto, così deserto che i detriti di plastica incontrati saranno l’unica prova del mio passato. Io li contemplerò a lungo per ricordarmi, loro diventeranno enormi al mio sguardo, unici e preziosi”.

In un mondo in cui il maggior produttore mondiale di rifiuti si sfila dall’accordo internazionale sulle emissioni anteponendo la “salute dell’economia” alla salute del pianeta, rendendosi nuovamente libero di moltiplicare il suo inquinamento, lo sguardo di Konarzewski non è più l’incubo di un visionario ma un occhio profondo e disincantato, un pensiero severo e pessimista sul mondo che verrà. Le sue spiagge non sono approdo sicuro e rassicurante ma terreno di coltura per le nostre incertezze, per le metafore di vita e di morte che ci accompagnano. Sono il segno di una nostra esistenza sempre in movimento incerto e ciclico fra l’essere e l’avere, fra la presa di coscienza e il disimpegno. Sono il presagio di un futuro che non avrà futuro.

Ma Thierry Konarzewski, smuovendo i sedimenti delle nostre emozioni, ci suggerisce, con i suoi frammenti visionari, anche una via di fuga, quella strada che aveva intuito Mikhail Gorbachev: “Quando la scienza e la ragione non ci possono aiutare, solo una cosa può salvarci: la nostra coscienza. Perciò abbiamo bisogno di un’ecologia dell’anima”. Forse sarà questa la nostra ultima opportunità, la nostra ultima spiaggia.

Enrico Pinna  

 

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