Addio a Marc Porcu poeta di storie e di silenzi 

Non era un fotografo Marc Porcu, era un poeta. Ma in fondo non c’è molta differenza. Lui era un fotografo della parola, capace di raccontare, con versi che sembravano tante piccole Polaroid, frammenti di esistenza, storie antiche, sentimenti mai domi, metafore di vita e di morte.

Nato in Tunisia, terra di esilio della famiglia,e  trasferitosi in Francia, Marc era di casa a Cagliari e tornava spesso in Sardegna a ripercorrere a ritroso il viaggio che il nonno, in fuga dal fascismo, aveva fatto per non ritornare mai più nella sua terra. Lo legava un senso d’appartenenza profondo e il lavoro di traduzione di scrittori vivi e morti come Sergio Atzeni, Flavio Soriga, Luciano Marrocu, Giulio Angioni.

L’ho conosciuto durante uno dei festival “Marina Cafè noir”, quando insieme a Rosi Giua portava avanti un progetto di poesia dentro il carcere che lo commosse. Mi disse «è stata un’esperienza straordinaria, con un’accoglienza commovente, da parte di persone che sentono il bisogno di confrontarsi con un’idea di normalità, con la prospettiva di un sogno di dignità che inseguono disperatamente. Molti di loro scrivono versi. Parole per rompere il silenzio dell’anima, per volare oltre il presente. Abbiamo letto le loro poesie insieme alle mie. Ci siamo scambiati le nostre storie».

Ora che Marc se n’è andato quelle parole risuonano nella mia mente, come quell’unico intenso incontro che aveva suggellato un’amicizia spirituale, un’affinità profonda che Marc espresse nella dedica nel suo libro “Le crie de l’aube” che volle regalarmi dopo il nostro incontro: “A Enrico, compagno di parole, che cerca con la foto il profondo dell’uomo come, con le parole, lo cerca il poeta”.

Bon voyage amico Marc, ci rincontreremo un giorno davanti ad un caffè per parlare ancora di foto e di parole, di sensazioni e di emozioni che nessuno come i poeti riesce ad agitare. Ti ricorderò con i versi struggenti de “l’albero”, storia del nonno, Ciu Grillu, pescatore di Sant’Antioco dalla schiena dritta:

…E io sono cresciuto nella leggenda di un’isola

avvolta nel suo sudario.

E io sono cresciuto nel silenzio del sangue che fluiva

dentro le mie vene

E ho amato il mondo per tutta questa assenza.

[…]

E l’isola

fu mia guida nella voce

la mia “vita nova” per parlare di lei.

[…]

La barca è la spola

e la memoria è la nacchera

e il ragazzo cresciuto

tesse col filo di bisso

la vela d’un canto avviluppando l’isola.

Enrico Pinna

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