Diario di viaggio di Matrilineare di Grazia Dentoni. Terza tappa: Escalaplano

Questo è il diario di viaggio di un progetto che dal 22 luglio al 5 settembre attraverserà il Sarrabus-Gerrei-Trexenta nell’ambito delle attività di Geografie sommerse. La sua storia comincia tre anni fa da un’idea di Grazia Dentoni, attrice e regista teatrale ispirata dalla propria esperienza di gestazione e dalla formazione come doula al fianco di gestanti e partorienti. Il progetto (all’interno del Teatro di Pace in Sardegna) si chiama Matrilineare e dopo le ultime due sessioni tra il Museo archeologico e alcuni siti d’interesse di Cagliari, grazie al Gal si sposta nel cuore del sud Sardegna. L’obiettivo è indagare attraverso il linguaggio teatrale e poetico il processo creativo in tutte le sue manifestazioni. Dopo le tappe di Ballao e Goni, quello di Escalaplano è il terzo appuntamento.

Escalaplano, quasi tremila abitanti tra le valli del Flumendosa e dello Stanali. Le sirene di Mamai (la personale di Paoletta Dessì che visitiamo in una sala del Comune) devono essere emerse da queste acque. L’orario di visite è terminato, ma le porte, per noi, sono ancora aperte. Ad accoglierci è Paoletta, con occhi e sorriso sinceri (di quelli contagiosi, che ti fanno venire voglia di ridere) e parole semplici e genuine. Ci parla delle sue dee, bianche ed eteree, nate dall’incontro della pasta d’argilla e le ossa di animali raccolte in campagna. Sullo sfondo blu (semplice e incantato allo stesso tempo), morte e nascita s’incontrano in un ciclo perpetuo. Paoletta e le sue dee ci incantano e ci danno il benvenuto in una tappa all’insegna dell’accoglienza.

A ospitare Matrilineare a Escalaplano è l’azienda di Stefano Lai. Rosalba, sua madre, ci accompagna al terreno di famiglia e mentre ci prepariamo, si occupa del caffè introducendoci al mondo delle api. Con Grazia e Il Dio distratto di Maria Lai il laboratorio ha inizio: racconti e parole s’intrecciano intorno al caffè e all’aria aperta, intorno a Stefano e al suo casiddu in sughero. Questo, in particolare, non ha mai accolto sciame d’api, ma agli occhi di chi le sa leggere ha tante storie da raccontare, narrazioni che si perdono nella notte dei tempi, tra sciami di api sedotte da un’antica canzone e bardane e scorrerie al centro di un triangolo di pozzi sacri dove, nel tempo che fu, si consumarono l’amicizia e l’inimicizia dell’apicultrice Amuai e della pestilenziale Orgia. È così, ci assicura Stefano: lo raccontano i vecchi e il sughero lo conferma.

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Il nostro anfitrione è un narratore nato: mischia il sardo all’italiano, la quotidianità al mito e i confini si perdono con la stessa fluidità del miele. Che Stefano non abbia il dono della parsimonia è un’occasione troppo ghiotta per questa compagnia avida di storie, ma il tempo passa ed è arrivato il momento di dedicarsi al training vero e proprio.

Lo lasciamo alle sue attività e immerse nel profumo del miele, protette dalla discrezione di Rosalba, montiamo lo spettacolo che il 5, ad Armungia, chiuderà il laboratorio. La luna sorge dalla finestra di fronte e gli ultimi racconti s’intrecciano tra qualche nota appena accennata dell’Ave Maria sarda, salutati dall’Andhira e Nora.

Rosalba è andata via, tornata alle sue occupazioni; con grande rispetto e discrezione ha preferito farlo senza salutarci, ma i pomodori che ha raccolto per noi ci raccontano ancora tanto di questa donna di poche parole e naturalmente ospitale.

Stefano, invece, è ancora qui, immerso nel buio della cucina: chissà quanto ha seguito del nostro laboratorio e chissà quanto di questo racconto affiderà al sughero, consegnando le storie di Matrilineare alla realtà e alla leggenda. Per ora ci sono ancora tanti racconti da scoprire e tra un bicchiere di vino e una fetta di pane, le chiacchiere continuano alla luce della Luna. Tra miele, api e janas dall’aspetto di donne.

Morena Deriu

 

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