Volevano hotel “a cinque stelle” da Cagliari ad Alghero. In un certo senso sono stati accontentati…

Da Giorgio Todde riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione attorno alle elezioni, all’ambiente, al Poetto e all’idea di “bene comune”

Per il Poetto non impariamo mai.
Il Presidente della Regione e il vice Sindaco di Cagliari sono andati al Poetto fuori stagione e hanno annunciato che l’ex ospedale marino, già ex colonia fascista, verrà trasformato in un hotel a 5 stelle.
Bisogna dire che tra gli infiniti numeri di stelle hanno scelto il più infelice per loro. D’altronde poche settimane fa anche il senatore Lai aveva richiesto 5 stelle per la costa tra Alghero e Bosa ed è stato un profeta. Così almeno sul numero di stelle sono stati accontentati.
Nulla di male però nell’idea di recuperare e restaurare l’ex colonia marina, anzi, è un’azione necessaria. Però è solo un’idea visto che serviranno una variante al piano urbanistico e poi un progetto con i suoi tempi e le sue prescrizioni. Passeranno giunte su giunte, galassie di stelle.
La colonia fu costruita nel ventennio per ospitare balilla di famiglie non abbienti. Una grande istituzione pubblica. Poi è diventata un ospedale che ha assolto un’altra funzione comune, un riuso coerente. Ma oggi è un rudere.
Insomma, quel luogo, inaugurato da un podestà, era destinato ai bambini per le vacanze e ora, nell’idea dei successori del podestà, dovrebbe grondare stelle. Per l’esattezza 5, non una di meno.
Ma della grande area dell’ippodromo – assolutamente inedificabile – e dell’incombente ospedale marino ed ex albergo, cosa vorrebbero farne? Certo sarà impossibile una Rimini2. Lo vieta il Piano paesaggistico, lo vietano le leggi e l’intera comunità si opporrebbe.
Comunque il recupero della colonia marina sarebbe un’occasione di conoscenze nuove in una città che deve imparare cosa sia il restauro e la conservazione di un bene. Anche se dopo aver visto gli squallidi selciati del centro storico, lo sconcio delle scalette di Santa Teresa e delle scalette di Villanova, la distruzione del Bastione di Saint Remy, l’abbandono sconsiderato di Castello e molte altre iniquità urbanistiche, la speranza si affievolisce. Quello che toccano distruggono.
Invece l’unica grande ricchezza, anche economica, della nostra città consiste nel conservare le differenze, le specificità, le singolarità che ci fanno dire guardandoci intorno: “siamo a Cagliari”. E per conservare occorre riguardo e considerazione.
La storia, l’anima dei luoghi si rispettano, per questo l’espressione “l’ho visto in altre città, facciamolo anche noi” rivela un profondo complesso di inadeguatezza per il quale solo se rassomigli a qualcuno assumi un senso. Sennò non hai significato.
Ma ecco, a causa di questo complesso, i progetti della funivia e del campo da golf alla Sella, sottopassaggi e ponti in via Roma, ovovie e teleferiche, silos alberghi e un sacco di altre sciocchezze mentre il bello che esiste lo si cancella.
L’apice di questa incapacità del riconoscimento di sé resta, a oggi, il Poetto color spazzacamino. Era, si vede, un bene immeritato.
Ma qualcuno sostiene che se non intervengono i taumaturgici privati la città diventerà piena di edifici pubblici in abbandono e che, quindi, anche l’ex colonia resterebbe vuota. Beh, a quel qualcuno si fa notare che ancora più numerosi degli edifici pubblici abbandonati sono gli edifici privati vuoti. Anche al Poetto. Segno incontrovertibile che il privato non è la medicina perfetta.
E’ ragionevole, naturale pensare che con il restauro si dovrebbe recuperare anche una funzione pubblica, addirittura con una partecipazione economica cittadina, oppure in una forma cooperativa. E non certo cacciare, come avverrebbe con le mitologiche stelle, chi ora utilizza quella spiaggia. Una funzione legata al mare. Collegata magari all’albergo che esiste e che, per quanto brutto, ritornerebbe alla sua originaria funzione.
Un’occasione di lavoro e non di servitù. Un vero stimolo creativo, proprio il contrario dell’attitudine di affidare ad altri il proprio destino. E smetterla finalmente di misurare il patrimonio naturalistico, paesaggistico e affettivo della città in termini di stelle, oltretutto lontane. E’ una barba e, oltretutto – anche se è vero che in questo caso non si consuma territorio – si sottrae comunque all’uso collettivo un’area grande e preziosa, si cacciano via gli abitanti e la si affida ad una gestione che sarà pure a 5 stelle ma che fa bene solo a chi delle stelle è il padrone.
E in fin dei conti anche chi ci governa dovrebbe, per rispetto alla storia personale e alla storia della propria parte politica, ricordare che il mondo da cui provengono era, sino a pochi anni fa, quello dove l’idea di bene comune era un’idea fondativa.

Giorgio Todde

 

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