Usi civici, l’assessore Erriu: “L’allarme sulla svendita è ingiustificato”

Da Cristiano Erriu, Assessore regionale degli Enti locali, Finanze e Urbanistica, riceviamo e pubblichiamo

Il Gruppo di Intervento Giuridico ha lanciato un allarme per una presunta “svendita” dei beni comuni rappresentati dalle terre gravate dagli usi civici, quasi si fosse alla vigilia di un nuovo Editto delle chiudende, con il quale, nel 1820, si consentiva di recintare e appropriarsi privatamente di terreni da sempre utilizzati collettivamente. Al di là del forte impatto emotivo, questo allarme è del tutto ingiustificato in quanto la Legge regionale n. 26/2016 ha ben altro scopo e conseguenze di una ‘svendita di beni comuni’ e cioè la ricomposizione di un conflitto con lo Stato in merito alle competenze per l’accertamento dei particolarissimi casi in cui è ammessa quella cessazione degli usi civici già prevista nella stessa legge n. 1766 del 1927 che li regolamenta. Si impone, pertanto, un preciso chiarimento sul significato del nuovo provvedimento legislativo, resosi necessario proprio per rimuovere ogni ambiguità in relazione a quei casi di manifesta e consolidata cessazione degli usi civici tradizionali, e stabilire una rigorosa procedura di verifica della relativa sclassificazione anche sotto il delicato profilo paesaggistico, da effettuarsi congiuntamente al Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (MiBACT), in quanto i terreni gravati da usi civici costituiscono beni paesaggistici ai sensi dell’art.142 del D.Lgs n. 42/2004 (Codice Urbani).

Nessuna svendita, pertanto, ma la presa d’atto e la verifica rigorosa di quei casi in cui la trasformazione dei territori sia irreversibilmente avvenuta da tempo, in alcuni casi assai prima della conclusione della procedura di ricognizione sul territorio regionale del 2005, come nell’emblematico caso del bacino dei fanghi rossi di Portoscuso, realizzato nel 1976, con evidente perdita della destinazione d’uso originaria.
Non è un caso che tale intervento legislativo sia stato sollecitato e apprezzato dalle forze sociali e sindacali proprio in quanto difende quegli interessi reali della collettività in alcuni casi messi in discussione da una lettura obsoleta di tali interessi, come rimarcato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 511/1991, relativamente alla legittimità costituzionale della L.R. n. 25/1988 della Regione Abruzzo.

La legge regionale n. 26 del 2016, di cui l’appello del Grig stravolge la valenza, non introduce ulteriori ipotesi di “sdemanializzazione” ma, in presenza delle condizioni previste fin dal 1994, ribadisce e regolamenta il coinvolgimento nelle valutazioni, in ottemperanza agli obblighi di copianificazione paesaggistica, del Ministero dei Beni e Attività culturali. Nessuna “ennesima operazione di sdemanializzazione di terreni ad uso civico”, nessuna vendita, nessuna autorizzazione a ulteriori cessioni o trasformazioni, come sostiene il Gruppo di Intervento Giuridico, ma solo la regolamentazione dal punto di visto paesaggistico degli effetti delle sclassificazioni previste da sempre nella legge che ne regolamentava nel 1927. Regolamentazione degli aspetti paesaggistici concordata con lo stesso Ministero che, per questo motivo, non ha impugnato il provvedimento. Tanto meno corrisponde al vero che si vogliano “svendere le coste”, in quanto gli usi civici riguardano – come stabilito dalla suddetta L. 1766/1927 – i “terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente o convenientemente utilizzabili per la coltura agraria”.

Si fa presente, inoltre, che la sclassificazione non può mai avere come obiettivo una vendita a privati che ne ricavino un vantaggio proprio ed esclusivo, ma deve sempre essere sempre finalizzata “a un reale beneficio per la collettività” che non può più sempre intendersi, come nel passato, al legnatico o al fungatico, ma che può esprimersi anche in relazione alle mutate esigenze delle popolazioni, come stabilito dalla citata sentenza della Corte Costituzionale.

La L.R. n.26/2016, in conclusione, non introduce nulla di nuovo rispetto alle possibilità di sclassificazione da sempre previste nell’ordinamento, ma sancisce una volta per tutte la necessità di operare nei confronti delle terre gravate da usi civici nel pieno rispetto della normativa legata ai beni paesaggistici quali sono riconosciuti dal Codice Urbani. Per chiarezza, propongo una lettura del testo integrale della legge: “Ai fini della valutazione degli aspetti paesaggistici la Regione e il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (Mibact) effettuano le analisi e le verifiche di competenza in occasione dell’elaborazione congiunta del Piano paesaggistico regionale o, in fase anticipata, attraverso singoli accordi di copianificazione adottati ai sensi degli articoli 11 e 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e successive modifiche ed integrazioni. Sino all’effettuazione di tali adempimenti il decreto di cui al comma 7 non produce effetti in merito alla sottrazione dei terreni oggetto di sclassificazione dalla categoria di beni paesaggistici vincolati ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lettera h), del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e successive modifiche e integrazioni”.

Cristiano Erriu

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