Referendum costituzionale. Thomas Castangia: “Riforma pericolosa per le autonomie speciali”

Da Thomas Castangia, esponente del “Comitato Sardegna per il No”, riceviamo e pubblichiamo questo intervento sul referendum sulla riforma costituzionale.

In questi giorni in tantissimi si sono esercitati nella discussione sulla riforma del titolo V della Costituzione e sulle implicazioni per le Regioni a statuto speciale e per quelle a statuto ordinario. Discussione condotta spesso in maniera superficiale, senza considerare realmente le conseguenze del voto. I riferimenti locali della maggioranza governativa e persino i massimi esponenti della Giunta e del Consiglio regionale si sono più volte espressi in difesa della riforma, esprimendo piena fiducia nel Governo e nella sua bontà rispetto alle necessità della nostra autonomia speciale. Immagino si riferiscano alla bontà mostrata dal ministro Pinotti alla Leopolda, quando ha definito le servitù militari una grande occasione di sviluppo o alla dichiarazione della senatrice Finocchiaro, che ha chiaramente detto che la riforma metterà fine alla stagione in cui le Regioni potevano porre il veto sulla costruzione di un oleodotto, di un impianto energetico e magari, aggiungo io, di un deposito di scorie nucleari.

Questa riforma (che per ammissione degli stessi promotori è centralista e mira a ridurre gli spazi di autonomia per le regioni) è in totale controtendenza rispetto a quanto elaborato negli ultimi anni dal centrosinistra, inclusa la famosa proposta dell’Ulivo, che prevedeva un Senato delle autonomie in uno Stato federale. Le modifiche introdotte riguarderanno – se mai il nuovo testo costituzionale dovesse entrare in vigore – tutte le Regioni, sia quelle a Statuto orinario che quelle a Statuto speciale. D’altra parte queste ultime hanno senso compiuto solo in un sistema regionale forte, mentre sono destinate ad essere messe in discussione se il sistema regionale viene indebolito, fino a diventare di fatto incapace di incidere su tutte le questioni che riguardano la vita delle persone.

Il dibattito si è concentrato sullo squilibrio che verrebbe introdotto nel testo costituzionale tra le Regioni a Statuto speciale e quelle a Statuto ordinario, in particolare in merito all’applicazione dell’articolo 117 ed alla clausola sospensiva contenuta all’art. 39 e riguardante le norme transitorie della legge di riforma. Clausola che, è bene ricordare, non incide sull’applicazione della riforma alle autonomie speciali ma solo sulla tempistica in cui questa applicazione si concretizza.

Un primo problema è rappresentato dal fatto che la norma transitoria prevede che il nuovo riparto di competenze fra Stato e Regioni non si applichi alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, ma solo «fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome».

Ma cosa è realmente questa intesa? Come spiega Roberto Toniatti, Professore ordinario di diritto costituzionale comparato e di diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento,  l’intesa rappresenta un filtro che seleziona i contenuti della riforma costituzionale destinati a transitare negli Statuti speciali e definisce il metodo che deve disciplinare il funzionamento del filtro”. In che modo si concretizza? Questo nessuno ad oggi è in grado di dirlo. Si tratta, infatti, di una fonte del diritto del tutto nuova; nell’ordinamento italiano esiste l’intesa finalizzata alla produzione di una legge ordinaria, ma non l’intesa in materia costituzionale.

Esiste ad oggi solamente una bozza per un progetto di legge costituzionale per la disciplina di formalizzazione dell’intesa, elaborata da una commissione presieduta dal Sottosegretario agli affari regionali on. Bressa e composta da rappresentanti delle autonomie speciali. Il testo prodotto dalla commissione prevede, in caso di mancata intesa sul medesimo testo statutario, che una maggioranza parlamentare dei due terzi abbia il potere di approvare la revisione statutaria nonostante la volontà contraria dell’autonomia speciale interessata. L’intesa statutaria non verrebbe quindi garantita da un procedimento paritario, ma sarebbe sbilanciata a favore dello Stato. A poche settimane dal voto del 4 dicembre però ancora non sappiamo come sarà regolata la procedura dell’intesa e non sappiamo su quali garanzie giuridiche possiamo fare affidamento. Patti chiari, amicizia lunga: è chiedere troppo?

Esiste poi un secondo problema, da pochi evidenziato ma che è di fondamentale importanza per comprendere se, in futuro, avremo una maggiore autonomia o un suo restringimento: l’acquisizione di ulteriori competenze, nella riforma, viene sottratta al contenuto dei futuri Statuti speciali e viene altresì sottratta al contenuto di future norme di attuazione ma viene stabilita con legge ordinaria. Le due più significative garanzie giuridiche poste a tutela dell’autonomia speciale e di un suo eventuale sviluppo vengono dunque ignorate; gli Statuti infatti sono garantiti dal loro status di fonte costituzionale e le stesse Norme di Attuazione hanno status di norma sovraordinata alla legge ordinaria.

Di fronte a questo quadro essere quantomeno dubbiosi, se non critici anche sulla parte della riforma che riguarda le autonomie speciali non mi pare procurato allarme. Era così difficile mettere ordine al federalismo introdotto nel titolo V con la riforma del 2001, ampliando le competenze e chiedendo che venissero esercitate in modo corretto, senza sprechi e premiando le regioni virtuose? Era complesso delineare un Senato realmente federale, con vincolo di mandato (voto per Regione e non per testa) e con un senso politico forte? Ci ritroviamo invece con una proposta che prevede un Senato pasticciato, un titolo V riformato male ed una nuova deriva centralista che mina fin dalle fondamenta le autonomie speciali.

Thomas Castangia
Comitato Sardegna per il NO

 

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