Primarie del Pd, le linee programmatiche di Yuri Marcialis

Continua, in questo spazio, la pubblicazione delle linee programmatiche presentate dai tre candidati sardi alla segreteria regionale del Pd, Yuri Marcialis, Francesco Sanna e Giuseppe Luigi Cucca, in vista delle Primarie. Sardinia Post, come sempre, seguirà l’appuntamento sul fronte della cronaca politica. A seguire il testo diffuso dall’assessore comunale di Cagliari, Yuri Marcialis, per illustrare ragioni e obiettivi della propria candidatura. S’intitola “Per un Partito democratico sardo, autonomo, di sinistra”.

La drammatica situazione economica della Sardegna richiede al PD uno straordinario atto di responsabilità. Esiste e si radica un distacco crescente tra il partito e i giovani e tra il partito e parti estese del mondo del lavoro e della società, conseguenza di scelte sbagliate nell’affrontare temi cruciali come la crisi economica, il dramma della disoccupazione di massa nel mondo giovanile, le crescenti diseguaglianze, la desertificazione umana e sociale di intere aree della Sardegna.

Il risultato del referendum, che in Sardegna ha fatto registrare la percentuale più alta di No alle modifiche costituzionali proposte dal PD, richiede una profonda autocritica che sappia capire e risolvere i nodi alla base di un risultato tanto disastroso.
Un partito di sinistra non può ignorare il ruolo delle organizzazioni sindacali e delle parti sociali, a partire da quelle storicamente espressione del nostro insediamento sociale, né può confondere l’innovazione con l’arretramento dei diritti.
Stiamo governando la regione e abbiamo ottenuto alcuni risultati positivi; il bilancio di metà legislatura presenta, però, anche delle ombre. Il nostro partito non è riuscito finora a esercitare con autorevolezza il ruolo di guida politica della maggioranza, non è stato capace di parlare con una sola voce e non è riuscito a promuovere un progetto di riforme ordinato e condiviso.

Il partito

Vogliamo fare un Congresso regionale di idee, e non di conte, per ridefinire il nostro profilo di forza autonomistica e per uscire dalla gravissima crisi in cui il gruppo dirigente espresso dal precedente congresso ha precipitato il partito.
Purtroppo non è mai stata fatta un’analisi seria del travaglio di questi ultimi anni, così come non é iniziata alcuna riflessione autocritica sulla sconfitta referendaria. È invece necessario riconoscere gli errori fatti e ripartire: per questo, dentro il partito, vogliamo condurre una battaglia politica limpida e
costruttiva, affinché si rafforzi una visione di sinistra che coinvolga cittadine/i e militanti indipendentemente dal voto espresso sul referendum costituzionale.

La Sardegna ha bisogno di un partito democratico autonomo e federato, che si occupi delle esigenze delle comunità e delle persone dentro un rapporto di leale collaborazione, mai di sudditanza acritica, con il partito nazionale; un partito capace di esprimere la sua vocazione di sinistra riformista e democratica, intransigente nella ricerca della giustizia sociale e delle pari opportunità, radicato nei territori, che consulta iscritti e iscritte facendo della partecipazione diffusa il motore della sua attività politica.
È importante valorizzare le esperienze e i progetti politici che in Sardegna hanno saputo guidare il centro sinistra al governo di molte amministrazioni locali, riunificando le diverse anime del partito,
costruendo una solida alleanza di centro sinistra, allargando la coalizione alle forze sardiste.

Serve un progetto che consenta al PD di essere una comunità attraverso un radicale ripensamento dei meccanismi alla base del processo decisionale e della selezione dei gruppi dirigenti, finalizzato a reintrodurre una reale democrazia e partecipazione nelle scelte politiche.
Vanno ripensate in particolare regole e prassi che, a livello sia nazionale che locale, hanno condotto a una sorta di bipolarismo muscolare interno al partito, per cui chi vince diventa il padrone del partito e chi perde ha come obiettivo prioritario scalzare i vincitori.
Non vogliamo un partito in cui esistono divisioni legate a cordate di potere: vogliamo invece un partito in cui trovano cittadinanza una pluralità di opinioni e sensibilità legate unicamente al confronto delle idee, mai alla fedeltà alle persone.

Le primarie – nate per introdurre partecipazione e democrazia nel partito – si sono trasformate in uno strumento che ha esasperato il leaderismo, dando ai capi corrente, attraverso il sistema delle liste collegate e delle liste bloccate – una sorta di porcellum nostrano – il potere, di fatto, di nominare gli organismi dirigenti.
Questo ripensamento è tanto più necessario in considerazione delle gravi sconfitte subite nelle ultime elezioni amministrative, nazionali e regionali, e dello stato del partito in Sardegna, dilaniato da contrasti e divisioni che hanno messo in discussione il governo di molte amministrazioni locali e fortemente indebolito l’azione riformatrice della giunta regionale.
Si tratta di questioni di fondo che con grande difficoltà potranno essere affrontate nel corso di queste primarie, del tutto avulse da un percorso congressuale che coinvolga, in un confronto aperto e strutturato, militanti, circoli, federazioni provinciali.

Dobbiamo comunque impegnarci a non sprecare questa occasione, primo passo importante verso un ripensamento del partito, del suo progetto di società, della sua organizzazione interna: crediamo, infatti, che il Partito Democratico sia sempre il luogo di elaborazione politica più importante del
nostro Paese e che il patrimonio di militanza e di amministratori ed amministratrici rappresenti una grande ricchezza per la vita politica della Sardegna.

Il mondo che abbiamo attorno

Crediamo sia necessaria un’assunzione piena dei principi autonomista e federalista come cardine della costruzione dell’Unione Europea, della Repubblica e dei rapporti fra Regione e autonomie locali. Faremo nostra la battaglia per il riconoscimento in sede europea della condizione di insularità.
Siamo al centro del Mediterraneo, attraversato in questi anni da migrazioni bibliche e tomba di migliaia di uomini, donne, bambini in fuga da fame e guerre; non possiamo restare indifferenti, quelle vite ci riguardano da vicino. Anche da noi crescono razzismo e odio sociale alimentati da paura e ignoranza; su questi argomenti dobbiamo combattere una battaglia culturale senza mai abbassare la guardia: accoglienza, solidarietà, integrazione devono realizzarsi con l’accordo pieno fra le istituzioni, dalle prefetture ai comuni, coinvolgendo il mondo del volontariato.
Possiamo e vogliamo guidare politiche di cooperazione economica e sociale che guardino ai paesi del nord Africa e del Mediterraneo, facendoci promotori di soluzioni di pace nei luoghi insanguinati da conflitti che non sono più solo locali.

La Sardegna che vogliamo

È da questa riflessione collettiva che dovranno nascere gli obiettivi programmatici alla base dell’azione del partito e del governo regionale, mettendo in primo piano problemi, bisogni e aspettative di cittadine e cittadini sardi, l’attenzione alle periferie e ai piccoli comuni, che sono la struttura portante del nostro essere comunità.
Il partito deve dialogare con l’amministrazione regionale con forza e autorevolezza ricostruendo una dialettica corretta ma incalzante, promuovendo un confronto inteso come motore per costruire politiche efficaci, con al centro dell’azione di governo la lotta alle povertà e alle molte diseguaglianze. Bisogna mettere in campo un piano straordinario per l’occupazione giovanile che vada ben oltre i limiti di garanzia giovani, definire misure strutturali di inclusione sociale per alleviare le difficoltà di larghe fasce di popolazione sofferente.

La Sardegna ha esigenze specifiche legate ai suoi luoghi e alle persone che li abitano. In questi anni si è tentato di omologare un insieme disomogeneo in nome di un mal interpretato concetto di uguaglianza; questo non può accadere se non si parte dalla tutela e valorizzazione della diversità. Vogliamo immaginare e costruire un percorso dove le opportunità non si concedono: ci sono, per tutti.
È profondamente ingiusto che una fetta dei sardi non sia rappresentata in consiglio regionale nel nome della governabilità. Non può essere un club elitario a scegliere i papabili. Un governo stabile si ottiene con sintesi e dialogo, non con soglie di sbarramento che impediscono una democrazia realmente rappresentativa. Stesso discorso per la doppia preferenza di genere: ci sono proposte di legge al riguardo che attendono di essere approvate. Un partito che si chiama democratico fa sue anche queste battaglie.

La Sardegna del futuro non può prescindere dalle risorse dei piccoli comuni: esistiamo grazie a quelli che i territori li vivono, li curano e ne preservano le risorse. Un partito serio e soprattutto maturo non può dimenticare le sue radici se vuole avviare un duraturo processo di costruzione.
Allo stesso modo, la Sardegna ha bisogno delle sue città, che devono svilupparsi e crescere in modo armonioso, in un rapporto sinergico e in uno scambio continuo e complementare con tutte le realtà sociali ed economiche; le università, i centri di ricerca e innovazione, i poli industriali, la grande e variegata offerta turistica e culturale, il sistema portuale, l’agro alimentare, l’artigianato, l’edilizia, i trasporti vanno pensati dentro un sistema di servizi moderni ed efficienti. Puntiamo a uno sviluppo basato sull’economia verde, all’interno della quale c’è spazio per una nuova industria manifatturiera.
Non si possono portare avanti politiche che non siano capaci di tenere tutto assieme dentro una visione coerente e condivisa di sviluppo e futuro.

Il partito che vogliamo ascolta e conosce i problemi della Sardegna di oggi, trova soluzioni, elabora progetti, prepara la Sardegna di domani a partire dalle risorse che ci sono oggi. Lavoro, istruzione, competenze, innovazione, diritti sono per noi i beni più preziosi.
La qualità della pubblica amministrazione è un requisito fondamentale per assicurare sviluppo e crescita. I progetti che partono dai territori devono trovare accoglienza in una struttura regionale efficiente. Servono interlocutori certi e attenti per i comuni, il mondo del lavoro, le cittadine e i cittadini.
Nel momento storico che stiamo vivendo, la democrazia, il bene più prezioso che abbiamo, ha bisogno di essere rianimata e ripopolata. Il Partito Democratico ha la responsabilità di farlo: perché una democrazia all’altezza del momento storico deve essere una democrazia partecipata, di genere, economica e non solo politica, in cui le passioni diventano il motore del cambiamento.

Tanto più sapremo riconoscere, cogliere e far crescere le energie che circolano tra noi, tanto più potremo farci interpreti del cambio di passo di cui la Sardegna ha bisogno e così costruire il Partito Democratico della Sardegna che vogliamo.
Spopolamento, invecchiamento della popolazione, mancanza di lavoro, povertà, i numeri drammatici della dispersione scolastica sono alcuni dei problemi che ci incalzano e pretendono risposte concrete. Dobbiamo fare di questo appuntamento congressuale l’occasione di rinascita autonomista del nostro partito, per trainare l’Isola verso un progresso atteso e possibile.

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