Pepe Mujica. Un libro a Cagliari il 28 settembre, un discorso da cominciare

È uscito quest’estate il primo libro in italiano su José Alberto Mujica Cordano, noto come “Pepe”, scritto da Nadia Angelucci e da Gianni Tarquini, intitolato “Il presidente impossibile. Pepe Mujica, da guerrigliero a capo di Stato”, Nuova Delphi editore. Domenica 28 settembre, alle ore 11, in piazzetta Dettori a Cagliari, nei locali dell’ex Art, verrà presentato dagli autori.

Mujica, eletto presidente dell’Uruguay nel 2009, dopo essere stato, dal 2004, ministro dell’agricoltura e dell’allevamento nel primo governo di sinistra della storia uruguayana, è noto a tutti per il suo stile di vita semplice, frugale e sobrio che ha attirato su di se l’attenzione dei più noti media internazionali.

Mujica, dopo aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza insieme alla madre in una casa alla periferia di Montevideo, la capitale dell’Uruguay, e dopo aver militato nel MIR (Movimiento de Izquierda Rivolucionaria), un movimento studentesco filo-cinese, decise di militare nel Movimiento de Liberacion Nacional- Tupamaros (MLN-tupamaros), un’organizzazione di “politici in armi”- come amavano definirsi- nata agli inizi degli anni “60. Divenne comandante di una divisione del MLN e, a causa di ciò, fu varie volte arrestato, riuscendo tuttavia ad evadere.

Agli inizi degli anni ’70 la repressione aumentò considerevolmente, anche a causa della presenza sistematica dei servizi segreti statunitensi fra le forze di polizia uruguayane, e i dirigenti tupamaros, fra i quali anche Mujica, furono arrestati e sottoposti ad un processo in assenza di garanzie costituzionali. Pepe passò quasi tredici anni rinchiuso nelle carceri della dittatura militare, la maggior parte dei quali trascorsi in un calabozo (pozzi sotterranei adibiti a carceri) subendo svariate e terrificanti torture. Uscito dal carcere nel 1985, a seguito di una sollevazione popolare, Mujica, assieme alla moglie Lucía Topolansky, a sua volta militante, decisero che avrebbero dedicato la vita alla politica, alla costruzione di una società migliore, alla costruzione della democrazia.

A proposito della democrazia, lungi dal ritenerla una conquista assodata del popolo uruguayano, Emiliano (uno dei tanti appellativi di Mujica quando militò in clandestinità), afferma che quella “vera non esiste in questo mondo, è una meta da raggiungere, non so bene quando né so bene come. La democrazia è un insieme di compromesso, lavoro, partecipazione, gestione dell’economia e tutto il resto” e ritiene che la democrazia liberale, quella più diffusa nel mondo, seppure sia positiva perché promuove la convivenza, ha anche tanti aspetti negativi: infatti “[…] massifica, non promuove lo sviluppo delle enormi potenzialità della società, non dà opportunità, è rigida, cambia con leggerezza i criteri elettorali”. Nonostante egli, dunque, sia critico nei confronti della democrazia liberale, ritiene che sia l’unico sistema finora ideato in grado di promuovere la pace sociale e di formalizzare i conflitto di classe: l’unico sistema entro il quale anche le classi lavoratrici possono sviluppare pienamente le proprie potenzialità e porre le basi per una nuova società.

Cosa abbiamo da imparare da Pepe Mujica e cos’hanno da imparare la sinistra e i comunisti sardi? Primariamente dobbiamo imparare o reimparare ciò che per la sinistra e i comunisti era normale, cioè che fare attività politica non deve essere un modo per arricchirsi, per acquisire privilegi, ma deve essere un modo per servire il popolo e difendere gli interessi delle classi subalterne e delle masse popolari che si vogliono rappresentare.

In secondo luogo, ma non per questo meno importante, Mujica e la sinistra uruguayana e di tutta l’America Latina ci insegnano che l’unico modo per difendere la democrazia e per farla progredire è che le masse popolari, cioè i lavoratori precari e non, i disoccupati, i piccoli agricoltori e, oggi, anche i piccoli commercianti e artigiani, partecipino attivamente alla vita politica.

Oggi la democrazia ha assunto una forma “neobonapartista”, nella quale alla partecipazione popolare e alla sovranità popolare si sostituisce il carisma di un leader, sempre espressione della classe dominante, che impone misure d’emergenza, affossando sempre più le conquiste che nel secolo scorso i lavoratori conquistarono.

Difendere la democrazia significa anche, nella nostra prospettiva, ricostruire una sinistra di classe e alternativa, che sappia fondare teoricamente e praticamente un modo nuovo di fare politica, un modo nuovo di organizzarsi e di sviluppare il dibattito, ideare nuovi metodi grazie ai quali le classi lavoratrici possano difendere i propri diritti e costruire una società più giusta.

Domenica 28 a Cagliari (anche sabato a Quartu Sant’Elena e lunedì ad Oristano), sarà la giusta occasione per discuterne, a partire dalla figura di Pepe Mujica.

Alessio Frau

 

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