Il giurista Fulvio Dettori: “L’insularità va costituzionalizzata nello Statuto sardo”

Da Fulvio Dettori, il giurista cattedratico di Diritto regionale nell’ateneo di Sassari, già direttore generale della Presidenza della Regione e componente dell’Ufficio per il referendum, riceviamo e pubblichiamo questo intervento col quale Sardinia Post apre il dibattito sulla bocciatura della richiesta di consultazione popolare per l’inserimento della condizione di insularità in Costituzione.

Personalmente non sono un sostenitore del referendum consultivo promosso per conoscere l’opinione del corpo elettorale sull’insularità che il quesito dichiara fonte di un “grave e permanente svantaggio naturale” per la Sardegna. La giudico un’iniziativa sbagliata, nella quale prevalgono di gran lunga gli aspetti “promozionali” e il tentativo di raggiungere un facile e effimero consenso popolare.

Chi crede che l’insularità produca effettivamente un “grave e permanente svantaggio” aveva davanti a sé altre strade, forse meno affascinanti, politicamente e tecnicamente più complesse ma certamente più efficaci. Penso soprattutto alla “costituzionalizzazione” dell’insularità con il suo inserimento nello Statuto speciale o, ancora meglio, all’attivazione di un confronto con il Governo centrale attraverso il ricorso alle cosiddette norme di attuazione statutaria, magari precedute da un ordine del giorno – voto del Consiglio regionale con una definizione puntuale e precisa di cosa s’intende per “insularità” e con indicazioni dettagliate e vincolanti dei temi e delle richieste in cui si sarebbero dovuti concretizzare gli interventi per il superamento (o, quanto meno, l’attenuazione) degli svantaggi che da essa ci derivano -. In quella sede le forze politiche avrebbero potuto affrontare il problema della continuità territoriale con una revisione profonda delle regole e delle procedure penalizzanti che disciplinano i trasporti marittimi e aerei per passeggeri e merci e dalle quali la Sardegna è quasi del tutto esclusa.

Si tratta di un’opinione, espressa in maniera assai più autorevole, anche dal Professor Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, che, da sardo, qualche mese fa (ottobre 2017) manifestava il suo scetticismo e la sua contrarietà sul referendum e suggeriva la strada di un confronto con il potere centrale per il superamento di “situazioni obiettive di svantaggio che richiedono l’attuazione di tutte le misure necessarie per dare alla Sardegna le stesse condizioni del resto d’Italia, nel quadro dell’unità nazionale”. Per raggiungere questo risultato – proseguiva il professor Onida – non vi è tuttavia la necessità di modifiche costituzionali, con il rischio che la Corte costituzionale respinga la proposta di referendum. Assai meglio “chiedere allo Stato misure legislative, amministrative e finanziarie volte a compensare gli svantaggi dell’insularità”.

Già in quella occasione il presidente Onida aveva messo in guardia sulla possibile illegittimità della richiesta referendaria che – a suo dire – correva il rischio di essere giudicata illegittima dalla Corte costituzionale (anticipata dall’Ufficio per il referendum) perché conteneva in sé la volontà di modificare la Costituzione. A suo giudizio il tentativo di inserire la insularità nelle norme costituzionali poteva essere un “autogol”. Al contrario, pienamente legittima era invece la richiesta allo Stato di garantire, d’intesa con la Regione, “misure legislative, amministrative e finanziarie volte a compensare gli svantaggi dell’insularità”.

Non ho quindi sottoscritto la proposta referendaria e – se mai si dovesse essere chiamati a votare – probabilmente mi asterrei. Sono peraltro rimasto colpito dalla superficialità con cui i promotori dell’iniziativa referendaria (ai quali si sono immediatamente uniti rappresentanti più o meno autorevoli di istituzioni e partiti) si sono scagliati contro l’Ufficio per il referendum colpevole di aver respinto la richiesta referendaria, sulla quale erano state raccolte ben 92.000 firme. Evitando di contestare nel merito la decisione dell’Ufficio, che peraltro trova solide basi in diverse sentenze della Corte costituzionale puntualmente indicate nel testo, le critiche, da destra e da sinistra, hanno riguardato la “lesione” dei nuovi diritti di partecipazione e democrazia del popolo sardo da parte – aggiungono alcuni – dell’ordinamento italiano, con l’appello, facile e scoperta demagogia, per l’astensione dal voto in occasione delle imminenti elezioni politiche, nella convinzione che in questo modo si possa raccogliere qualche misero consenso.

Resta ora da comprendere quali saranno le decisioni dei sostenitori referendari. Una volta letto con attenzione il testo della decisione e dopo avere raccolto i pareri degli “illustri costituzionalisti e amministrativisti” che avrebbero sposato la loro battaglia, si può anche immaginare che venga scelto un nuovo e diverso percorso, giuridicamente meno problematico. Del resto, l’importante è tenere viva la fiamma dell’insularità fino al 2019, quando le “rivendicazioni del popolo sardo” potranno essere spese nelle elezioni regionali.

A questo punto, senza inutili fughe avanti e irrealizzabili riforme dello Statuto speciale, più importante sarebbe invece un’azione degli organi di governo della Regione che, anche sulla scia della decisione dell’Ufficio del referendum, aprisse un vero confronto con il nuovo governo su tutto ciò che è “insularità” e “continuità territoriale”, delle quali fanno senz’altro parte le attività di “governo” dei trasporti aerei e, soprattutto, marittimi, dai quali la Regione è completamente tagliata fuori.

L’obiettivo dovrebbe quindi essere quello che, quanto prima, il presidente della Regione e la Giunta regionale, forti di un pronunciamento dell’Assemblea consiliare, possano affrontare con la dovuta fermezza il tema della continuità territoriale nel suo complesso e pretendano dal Governo l’apertura di un confronto che, abbandonati gli interventi tampone, porti lo Stato (e, per quanto di sua competenza, l’Unione Europea) a inserire in una trattativa più generale con la Regione l’intero sistema della continuità territoriale. La Regione deve avere il giusto “peso” nel campo della continuità territoriale e dei trasporti marittimi ed aerei, per cancellare i tanti fallimenti e le tante risorse sprecate in questi anni. Ai sardi deve essere concretamente riconosciuto il diritto di viaggiare, non solo in aereo e non solo per Roma e Milano, alle stesse condizioni di tutti gli altri cittadini italiani. Perché ciò possa accedere lo Stato deve essere chiamato ai doveri di solidarietà e leale collaborazione imposti dalle norme costituzionali, abbandonando  la retorica “para-risorgimentale” sulla specialità e i richiami a una non meglio specificata e mitica “insularità”.

Fulvio Dettori
Docente di Diritto regionale
Già direttore generale della Presidenza della Regione
Già componente dell’Ufficio per il referendum

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