Fuori il sardo dalla Rai: la lettera aperta a Franco Siddi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera aperta dell’Istituto Camillo Bellieni e del Coordinamento degli operatori di lingua e cultura sarda sulla battaglia contro l’esclusione del sardo dai programmi della tv di Stato, ossia dalla Rai. Il testo, in cui si esprime rammarico per “la discriminazione subita dalla Sardegna rispetto ad altre regioni a Statuto speciale” è stato inviato a Franco Siddi, giornalista e sindacalista ora membro del Consiglio amministrativo della Rai. Altri destinatari, per conoscenza, i senatori Pd Silvio Lai e Giuseppe Luigi Cucca, il presidente della giunta regionale, Francesco Pigliaru, il presidente del Consiglio regionale, Gianfranco Ganau e il Corecom Sardegna. Di seguito il testo integrale firmato dal direttore Scientifico dell’Is.Be., Michele Pinna, dal presidente Maria Doloretta Lai e dalla rappresentante del Colcs Daniela Masia.

L’incresciosa situazione che ha visto la Sardegna discriminata nell’uso del sardo in RAI, durante l’ ultima votazione nel Senato della Repubblica, dove recentemente è stata approvata una legge di riforma della TV di Stato, ci ha costretto ad inscenare dinanzi alla sede RAI di via dei Mille a Sassari il 6 agosto 2015 una manifestazione di protesta.

Una manifestazione simbolica, pacifica, ma non di meno consapevole dello schiaffo che, nella circostanza la Sardegna ha subito.

Per quanto sia lontana da noi ogni accusa strumentale nei confronti di alcuno ed ogni presa di posizione demagogica, facile da cavalcare in un periodo dove si vorrebbe avere ragione solo perché, magari, si riesce ad urlare di più, tuttavia ci rendiamo conto della discriminazione che, in questa maniera, subisce la Sardegna rispetto ad altre regioni a Statuto speciale dove sono presenti, al pari del sardo, lingue come il francese, il tedesco, il friulano, il ladino, lo sloveno.

E’ riservata a loro una maggiore tutela perché si tratta di lingue che hanno alle spalle Stati nazionali come la Francia e la Germania? O perché tutelate da accordi internazionali come quello De Gasperi Gruber? Certo sarà anche per questo. Ma la legge 482 del ’99, varata dal Parlamento italiano, a seguito delle raccomandazioni del Consiglio d’Europa espresse nella Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, ci pare sufficientemente chiara, per quanto perfettibile, nel porre il sardo ed il catalano, l’altra lingua di minoranza presente in Sardegna, come lingue da tutelare e valorizzare, al fine di una integrazione compiuta, anche delle “piccole patrie” nella costruzione di una nuova Europa “dall’Atlantico agli Urali”.

Altresì ci rendiamo conto del fatto che lo Stato italiano è inadempiente rispetto alla ratifica della Carta europea su citata, intrapresa dal Governo Monti, ma rimasta incompiuta, dove, anche in quella circostanza, il sardo aveva subito una discriminazione, rispetto alle altre lingue.

Eppure il sardo, come aveva messo in evidenza l’indagine sociolinguistica portata avanti dalla Giunta Soru è utilizzato consapevolmente dall’80% della popolazione come lingua della propria identità di popolo, di nazione ma di regione dello Stato italiano. L’incipit programmatico della L.R n.26 del ’97, del resto, assume nella sua lettera e nel suo palese significato, la lingua sarda, nonché le altre lingue di minoranza presenti nel territorio regionale (catalano, tabarchino, sassarese e gallurese) come valori identitari imprescindibili delle popolazioni presenti nell’Isola. Una lingua, per altro, quella sarda, variegata e strutturalmente unitaria nel suo impianto morfosintattico, dalla storia millenaria che ha convissuto con il latino, con il greco, con il castigliano, ed oggi con l’italiano, che riconosce come lingua ufficiale dello Stato, e con l’inglese lingua di comunicazione interculturale, ma si potrebbe dire con tutte le altre lingue che la scolarizzazione e la civiltà contemporanea hanno immesso nel grande “mercato” della comunicazione comunitaria.

Tutti sappiamo quale sia la potenza di una lingua usata nei mezzi di comunicazione di massa. Chi non ricorda il maestro Alberto Manzi e la diffusione che ebbe l’apprendimento dell’italiano in quella fortunata trasmissione messa proprio in onda dalla RAI per sottrarre, negli anni sessanta, molti italiani adulti dalle forti percentuali di analfabetismo linguistico che ancora imperava nel Paese in via di ricostruzione e di crescita? Estendere l’uso televisivo, anche in forme e modalità da studiare e da sperimentare, per lingue come il sardo e il catalano servirebbe a dare alla Sardegna ed ai suoi abitanti, specialmente ai più giovani, nuovo slancio e nuovo vigore, non in una logica di separazione dal e di chiusura verso il mondo, ma in una logica di rinnovata fiducia e verso se stessi e verso gli altri, nello spirito di una democrazia e di una partecipazione che si rinnovano nell’accoglienza, nel pluralismo, nella diversità.

Noi dell’Istituto di studi e ricerche “Camillo Bellieni” e del COLCS, due associazioni di studio, di ricerca e di promozione linguistico-culturale, consapevoli dell’importanza che assume oggi l’adesione intelligente e critica ai propri territori, alle proprie lingue, alle proprie culture, alle proprie storie, grandi e piccole, alle proprie risorse umane e naturali, riteniamo che dare valore alle culture e ai saperi locali, alle loro lingue, dunque, portatrici di storia e di memoria nel presente, non sia un fatto folcloristico ma possa costituire un presupposto di salvezza per il rilancio dell’economia, del lavoro, della civiltà. Solo cittadini e uomini consapevoli di se stessi possono partecipare attivamente e costruttivamente ai nuovi processi mondiali della produzione della ricchezza che vada in una direzione eticamente e culturalmente fondata. Altrimenti ci sarebbe la barbarie, lo sfruttamento cieco fino alla dissipazione totale ed assurda di tutto e di tutti: degli uomini, della natura, del territorio, dell’ambiente, delle tradizioni di accoglienza e di solidarietà di cui i sardi ancora vanno fieri ed orgogliosi, in un mondo in cui prevalgono, invece, gli egoismi, le esclusioni, le paure verso gli altri, le discriminazioni, nel nome di un Dio esclusivo ed irreversibile che si chiama “mercato”.

Ci rivolgiamo a Lei dottor Siddi– da sardi a sardo, ma come uomo illuminato che ha saputo imprimere una svolta al sindacalismo giornalistico, portandolo verso nuovi terreni di mediazione e di confronto pubblico, in cui editori e lavoratori hanno trovato, al di là delle vecchie rendite di posizione del passato, nuove opportunità d’incontro e di confronto, per il bene comune, – affinché nella nuova veste di amministratore dell’azienda radiotelevisiva di Stato possa incidere, con gli strumenti a Sua disposizione perché la RAI sarda con la sua sede operativa di Sassari possa aprire le porte alla lingua e alla cultura sarda con notiziari, programmi didattici, rubriche, da portare avanti utilizzando anche le risorse umane che in Sardegna sono cresciute, in questi anni di battaglie per l’affermazione dei principi di valorizzazione e di tutela: giovani giornalisti, operatori culturali, associazioni che sono disponibili a forme di collaborazione da valutare e da studiare per la creazione di una nuova cultura televisiva che nasca anche da territori come quello sardo.

Certi della Sua disponibilità e della Sua sensibilità, auspicando, anche, di poterLa incontrare de visu, porgiamo i nostri cordiali saluti e i nostri migliori auguri di buono e proficuo lavoro nel Suo nuovo e prestigioso incarico.

Immagine Istudentes Sardos Su Majolu

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