Carla Bassu: “Referendum, autonomie speciali in pericolo? E’ vero il contrario”

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo di Carla Bassu, docente associata di Diritto pubblico comparato al Dipartimento di scienze umaninistiche e sociali dell’Università di Sassari, al dibattito sul referendum costituzionale del 4 dicembre.

Il grado di contraddittorietà raggiunto dal dibattito sulla riforma costituzionale è ben espresso dalle posizioni assunte con riguardo al destino dell’autonomia riservata alle Regioni a Statuto speciale. Se in ambito nazionale, infatti, alcuni esponenti della battaglia per il No denunciano tra gli aspetti più controversi della revisione il mantenimento della asimmetria, in termini di poteri e funzioni, tra Regioni ordinarie e speciali, in Sardegna si diffonde, al contrario, l’allerta su una possibile riduzione della potestà riconosciuta nel 1948.
Chi ha ragione?

Sul punto il testo della riforma è chiaro: il nuovo articolo 117, che ridefinisce le competenze normative di Stato e Regioni, attirando alcune materie nella sfera esclusiva statale per garantire una disciplina organica e omogenea sul territorio, non si applica alle realtà a Statuto speciale. Il nucleo della specialità resta dunque del tutto immutato e potrà variare solo quando si procederà alla modifica degli Statuti che, a differenza di quanto accade per le Regioni ordinarie, possono essere rivisti solo tramite legge costituzionale, seguendo il procedimento rafforzato definito dall’art. 138 della Costituzione.
La modifica degli Statuti speciali, peraltro, è subordinata al raggiungimento di una intesa, in merito ai cambiamenti da apportare, che dovrà essere stipulata dallo Stato e dalla Regione interessata. La previsione obbligatoria dell’intesa si rivela una risorsa importante per le Regioni autonome che in questa sede potranno negoziare anche ulteriori spazi di autonomia.
Da tutto ciò si evince come la riforma sia effettivamente premiale nei confronti delle Regioni speciali perché ripristina una differenza sostanziale con le entità ordinarie che era stata attenuata dall’ultima riforma del Titolo V.

Si è anche parlato della norma dello Statuto sardo (sulla incompatibilità delle cariche di consigliere regionale e senatore) che impedirebbe ai rappresentanti regionali di trovare posto nel nuovo Senato. Si tratta di una ipotesi suggestiva ma infondata. Costituzione e Statuti speciali sono fonti di rango costituzionale ma non del tutto parificate : in una forma di Stato regionale come la nostra gli Statuti devono infatti armonizzarsi con la Costituzione nazionale, non il contrario. La composizione del Parlamento nazionale è materia riservata alla disciplina della Costituzione centrale che prevale rispetto a eventuali disposizioni statutarie contrastanti, in ragione del principio gerarchico. Ma anche nel caso in cui si volessero considerare Costituzione e Statuti speciali come pariordinati, si dovrebbe applicare il criterio cronologico che riconosce primazia alla norma successiva sulla precedente così che l’eventuale entrata in vigore della riforma, con il metodo di selezione del nuovo Senato, determinerebbe la soccombenza della norma statutaria sulla incompatibilità. Non si applica nel caso specifico il principio per cui la norma speciale prevale su quella generale, anche successiva, perché la norma statutaria non riguarda una specificità regionale bensì una regola generale che ricalca fedelmente il testo dell’art. 122 della Costituzione rivolto alle Regioni ordinarie.

Niente paura dunque per le autonomie speciali che nello scenario costituzionale previsto dalla riforma non subiscono ridimensionamenti ma trovano anzi percorsi di potenziale valorizzazione.

Carla Bassu

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